La prostituzione nel Medioevo

Articolo sulla Prostituzione nel medioevo a cura di Maria Luisa Berti

BORDELLI E MERETRICI TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

         L’inferiorità della donna nei confronti dell’uomo è sempre stata la principale causa della prolificazione della prostituzione in tutte le civiltà e in tutte le epoche, anche nel Medioevo. Spesso le donne vi erano costrette da chi era loro più vicino: il padre, un fratello, il padrone, ma alla base c’era la condizione di povertà. A volte era l’assenza di una dote e, quindi, l’impossibilità di maritarsi, a spingere la donna sulla via della prostituzione.

In una vetrata della Cattedrale di Bourges è rappresentato San Nicola che salva tre donne il cui padre non garantiva loro la dote. Anche l’essere lasciate dal marito per infedeltà o incompatibilità, come pure l’essere state violentate erano così infamanti da non lasciare che un’unica via di sopravvivenza. La prostituzione veniva esercitata nei bordelli, lungo le strade, nelle locande, nelle taverne, nei bagni pubblici ma anche nelle dimore dei nobili e perfino nelle regge. La stessa Chiesa, che condannava severamente l’omosessualità, la masturbazione e l’adulterio, considerava i bordelli un male necessario: “godere pagando significava godere senza peccato”. Guillaume de Conches nel 1150 spiegava che “niente di quel che è naturale potrebbe essere vergognoso, poiché è un dono della creazione. Solo gli ipocriti lo ignorano». Anche Tommaso D’Aquino (1225-1274) era un sostenitore del sesso a pagamento.

miniatura medievale

            La maggior parte delle donne nei postriboli dipendevano da un ruffiano, uomo o donna, che forniva loro una stanza e la clientela. Il mezzano veniva punito dalle autorità con pene pecuniarie ma anche con l’esilio. Nei bordelli pubblici la situazione delle prostitute era peggiore perché dovevano pagare l’affitto del locale, il cibo, il vestiario e le tasse; finivano così per rivolgersi agli usurai. Si legge in un’ordinanza cittadina di Norimberga: “Inoltre, il gestore del bordello, uomo e donna, deve fornire alle donne che vivono nella loro casa con le camere, lenzuola e cibo decente, e devono dar loro da mangiare due pasti al giorno e ad ogni pasto due piatti decenti; e per tali spese ogni donna comune che vive nel bordello deve dare al gestore del bordello separatamente la somma di quarantadue pence settimanali, se si utilizza il cibo o no. Inoltre il gestore del bordello deve far fare un bagno almeno una volta alla settimana alle donne che vivono in casa, e questo a sue spese.”  Ed eravamo nel 1470. L’avanzare dell’età e la conseguente perdita di clienti buttavano le prostitute in strada con ben poche possibilità di sopravvivenza.

Le prostitute, in Italia come nel resto dell’Europa, dovevano usare un particolare abbigliamento per essere ben riconoscibili: abiti con una larga fascia bianca, ornata con rose nere e campanellini a Bologna, a Milano mantelli neri, a Firenze guanti e campanelli sui cappelli. Non dovevano avere vestiti e accessori di lusso. Nel 1340 le autorità di Barcellona ordinarono alle prostitute di non portare mantelli pena una multa di venti soldi e un giorno in prigione.

pittura medievale

Taverne, lupanari, osterie, locande offrivano ospitalità alle donne di piacere in cambio di una percentuale sul loro guadagno. Poi la Chiesa, gli statuti comunali, le guerre finirono per confinare le prostitute nei bordelli o per buttarle in strada.

            Nella Bologna medioevale il bordello pubblico si trovava dietro la Casa- torre dei Catalani, ancora esistente nei pressi di Piazza dei Celestini.  I Frati del Convento dei Celestini riuscirono poi a far spostare il bordello pubblico nella Corte dei Bulgari, dove ora sorge il cortile dell’Archiginnasio. Nel 1443 le autorità concessero a Zaccarello da Pesaro di gestire il gioco d’azzardo proprio nel nuovo postribolo della Corte dei Bulgari.  Nel bordello pubblico lavoravano le meretrici autorizzate dal Comune, mentre tante altre donne bazzicavano nei pressi per portarsi i clienti a casa. Alcune di loro si fingevano signore benestanti in cerca di nuove emozioni ed erano tante che negli Statuti Bolognesi del 1252 si chiedeva a queste signore di provare il loro stato sociale con sette testimoni. Tra il 1250 e il 1260 gli Statuti si accanirono contro le prostitute. “Per evitare lo sconcio delle malefemmine… ordiniamo che le meretrici pubbliche e i loro protettori se ne vadano ad abitare fuori di città e che non siano accolte loro denuncie per offese o ingiurie subite presso le stanze degli studenti, tranne che per furti, ferite, pestaggi o invalidità. Con questo decreto si tutelano le prostitute del bordello pubblico. In un altro statuto si legge: “siccome attualmente ci sono in città troppe meretrici, ladri, ruffiani, biscazzieri e sfaccendati che consumano molti viveri, se ne vadano tutti costoro entro otto giorni e a chi rimane venga tagliato il naso.” Evidentemente erano tempi di carestia.

pittura medievale

Il mercato del sesso era assai florido visti i numerosi studenti che da tutta Europa venivano a Bologna per seguire le lezioni di diritto e di medicina. Alla fine del Duecento Papa Bonifacio VIII con una legge ordinò che le prostitute fossero cacciate dalla città e le loro case distrutte. Ben presto esse tornarono nell’attuale Via D’Azeglio, vicino al bordello pubblico e alle scuole.  Anche dietro alle mura di San Mamolo (da cui si accede in Via D’Azeglio) c’era un giro di luci rosse, infatti nel 1337 Bartolomea, che abitava presso la Chiesa di San Mamolo, aveva trasformato la sua casa in un bordello e negli atti del processo si legge: “aveva adibito la propria abitazione a casa d’appuntamento permettendo, dietro compenso, che lì si commettessero stupri, incesti ed altre simili nefandezze come adulteri e incontri clandestini con donne sposate, nubili, vedove, e perfino ragazze vergini e monache consacrate a Dio”.  Nel tardo Trecento il Cardinale Legato fece costruire un muro lungo quella strada per impedire gli adescamenti. Il Comune di Bologna continuò ad esigere il datium bordeli fino al 1368 quando il Cardinale Legato per festeggiare la sua elezione decise di abolirlo. Nel 1521 la polizia impose che le meretrici girassero a capo scoperto, portando sulla spalla una striscia gialla al posto del sonaglio. Si racconta la storia di una prostituta, Gottifreda della Mannaia che abitava in via Santa Caterina e che, sentendosi libera di circolare, aveva tentato di esercitare la sua professione a Porta Saragozza dove aveva suscitato l’ira di un vecchietto il quale l’aveva colpita con un sasso. Alla vista delle sue lacrime e del sangue che le copriva il volto, un armigero l’aveva difesa provocando una rissa con molti feriti. Al tramonto trovarono la donna morta appoggiata al muro di una cappella votiva, come se pregasse.

             Nella Roma medioevale, dove molti erano i nobili e gli ecclesiastici, le prostitute erano dette “curiali” perché garantivano il celibato a chi voleva entrare a far parte della Curia. Nel Rinascimento la città prolificava di meretrici. Quelle che si prostituivano in luoghi bui erano dette “da lume” o “da candela” mentre quelle che si lasciavano intravedere dietro le finestre o le persiane (gelosie) erano chiamate “da gelosia” o “da impannata”. Le “cortigiane domenicali” esercitavano solo di domenica. Le prostitute più povere si trovavano in Campo dei Fiori, vicino a Ponte Sisto, o in Vicolo Calabrache (poi Vicolo Cellini) dove le spagnole e le ebree convertite veniva chiamate “cortigiane gialle” o “camisare” perché vestivano una camicia gialla. Dopo essere state relegate nella zona di Trastevere, le prostitute furono rinchiuse da Papa Giulio II negli “ortacci“, un vero e proprio ghetto chiuso, posto vicino al Mausoleo di Augusto. Verso la fine del ‘500 le meretrici in Roma erano circa 7000. Secondo il censimento voluto da Papa Clemente VII (1526/1527) su 55.000 abitanti, 4900 erano prostitute e cortigiane, e vi erano 17 cortigiane ogni 1000 abitanti di sesso femminile. Risse e disordini erano continui e spesso a causa delle prostitute che a volte venivano fustigate o rimandate nella città d’origine. Nei cataloghi pubblici era annotato il prezzo delle loro prestazioni e il Tribunale Curiale rilasciava le licenze ai bordelli e riscuoteva le tasse in cambio della tutela del governo. Grazie a quei contributi furono costruite opere pubbliche come la lastricazione della Via Ripetta, la costruzione e la riparazione di ponti (Ponte Sisto e Ponte Rotto). Anche Borgo Pio fu costruito nel 1559 da Papa Pio IV con i denari provenienti da queste tasse.  Poi vi erano le “cortigiane oneste” colte e raffinate, che conoscevano il latino, sapevano suonare strumenti musicali, componevano e recitavano poesie. Astute e intelligenti, potevano scegliersi i clienti e riuscivano a diventare ricche perché si facevano pagare profumatamente. Furono molto apprezzate nelle corti rinascimentali e anche papali. Le cortigiane venivano sepolte nella Chiesa di Sant’Agostino mentre alle prostitute di basso rango era destinata la terra sconsacrata presso il Muro Torto.

            A Milano la prima “passeggiatrice” di cui si ha notizia risale al 1176, quando la città era assediata da Federico Barbarossa. Ella poteva passeggiare liberamente dall’interno delle mura all’accampamento tedesco. In una di queste passeggiate, sollevando la veste e mostrando le sue nudità, creò un diversivo, distraendo i nemici, e permise ai cavalieri milanesi di uscire, sconfiggere il nemico e procurarsi le vettovaglie con cui rifornire gli assediati. A ricordo dell’evento fu posto un bassorilievo a Porta Tosa, poi Porta Castello, che nel 1570 fu fatto rimuovere dall’Arcivescovo Carlo Borromeo ritenendolo osceno. Infatti la donna ritratta mostra il pube depilato. Questa usanza, pare di origine celtica, veniva  imposta alle donne accusate di adulterio e alle prostitute per scacciare il malocchio. Probabilmente proprio a Porta Tosa si praticava il meretricio. Solo dal XIV secolo si hanno notizie sui bordelli milanesi, da quando Gian Galeazzo Visconti impose alle prostitute di stare in tre case, situate nel Castelletto, nell’attuale Piazza Beccaria, le quali non dovevano avere porte, balconi e finestre sulla pubblica piazza e avevano l’obbligo di tenere sempre le imposte chiuse. La prima di queste case era tenuta da Elisabetta, la seconda da Lita e Paneria, la terza fu data in affitto a Guglielminetta Flamminga. Le prostitute dovevano indossare una mantella gialla, da cui l’appellativo di donn del scial o del vel giald, ed erano tenute a pagare una tassa sui loro guadagni. Per volere del Borromeo il Castelletto fu venduto e divenne il carcere cittadino, costringendo i bordelli e le prostitute a trasferirsi nelle vie del centro. Lo stesso Borromeo convinse molte prostitute a curarsi e in una casa di sua proprietà ci furono ben 771 vittime deflorate, mal maritate, vergini, vedove e meretrici.

            Nei secoli seguenti bordelli e prostituzione continuarono a prosperare in Italia come nel resto del mondo se pur con modalità diverse. In sette paesi europei (Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria, Lettonia) la prostituzione è legale ma con l’imposizione di tasse, di luoghi precisi e di controlli sanitari. Nel 1958 in Italia la Legge Merlin decretò la chiusura dei bordelli e il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione., Comunque ancora oggi, nella nostra società, la prostituzione è assai diffusa e lo sfruttamento delle donne africane e orientali a tal fine è prevalentemente in mano agli uomini così come sono gli uomini ad usufruirne. Prostitute per strade o nelle case chiuse, cortigiane (le odierne escort) hanno caratterizzato le società umane nell’arco di secoli fin dalle più antiche civiltà e nessun uomo, di Chiesa e no, dovrebbe mancare loro di rispetto.

Maria Luisa Berti

Professoressa di lettere antiche


IlTerritorio.net

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