Il ratto delle Sabine

Il mito tra storia e leggenda

Jean-Louis David, Le Sabine (1794-1799), olio su tela, Museo del Louvre, Parigi

La città antica di Cures, capoluogo della Sabinia, occupava l’intero colle a sud di Fara, un territorio circondato dai due torrenti che confluiscono nel Tevere. Vi risiedeva Tito Tazio, re dei Sabini nel periodo del rapimento delle loro donne da parte dei Romani. Chi non conosce il Rapimento delle Sabine organizzato da Romolo per procurare le donne ai suoi uomini? Storia o leggenda?

“ Romolo”, racconta Tito Livio (Ab Urbe condita libri1,9) “…organizza appositamente dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre; li chiama Consualia. Ordina poi che lo spettacolo sia notificato ai confinanti. E lo celebrano con tutta la solennità che allora conoscevano o potevano realizzare, per rendere la cosa ben nota ed attesa. Arrivarono molte persone, anche per il desiderio di vedere la nuova città, in particolare tutti i più vicini, Ceninensi, Crustumini, Antemnati; infine venne tutta la moltitudine dei Sabini con figli e mogli…quando giunse il momento dello spettacolo e le menti con gli sguardi erano concentrati su di esso, allora, secondo un piano prestabilito ebbe inizio l’aggressione e, ad un segnale convenuto, la gioventù romana corse qua e là a rapire le ragazze…”


Gianbologna: ratto delle sabine (1574-82), Firenze

Il rapimento causò una serie di guerre con i popoli che avevano subito il danno. I Sabini furono gli ultimi a cedere e, come raccontano Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, presero il Campidoglio, grazie al tradimento di Tarpea, per poi ingaggiare una dura battaglia con i Romani.  Fu allora che le donne sabine rapite, si lanciarono tra i combattenti per dividerli. “Là, mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall’altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli…e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo”. (Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo)

I Sabini, detti Curiti, da Cures, la loro città di origine, si fusero con i Latini e il loro re, Tito Tazio, governò insieme a Romolo. Da allora il termine Quiriti indicava i Romani che godevano del diritto di cittadinanza.

Ca’ Rezzonico – Ratto delle Sabine – Nicolo Bambini

Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso vissero ai tempi Di Augusto, (quasi sette secoli dopo la fondazione di Roma) e Plutarco quasi un secolo dopo di loro, per cui i loro racconti si basavano molto sulla tradizione orale e sugli scritti più antichi come gli Annales, poema epico di Tito Ennio. Tutti questi scrittori nei loro libri intendevano legittimare la grandezza di Roma e, basandosi soprattutto sulla tradizione orale, i miti finirono per prevalere sulla storia. La leggenda del rapimento può derivare da un rituale di matrimonio in cui si rapiva la sposa, rituale presente in altre culture, ma l’unione tra i due popoli pare sia avvenuta in modo pacifico perché i Sabini vedevano una vita migliore nella città che stava sorgendo.

Il ratto delle Sabine è una leggenda che ha ispirato vari artisti, tra cui Jean de Boulogna, detto il Giambologna nella seconda metà del Cinquecento, Nicolas Pussìn (1594- 1665), Pietro da Cortona nel 1629, Jacques- Louis David verso la fine del Settecento. Il momento del rapimento è stato immortalato dal Giambologna in una statua dove, scolpito nel marmo, un giovane solleva sopra la testa una fanciulla mentre un vecchio cerca di bloccargli le gambe. Jean- Louis David, invece, nel suo quadro descrive il momento della battaglia in cui le donne sabine con i loro piccoli cercano di far cessare gli scontri. Al centro del dipinto con il grande scudo, l’elmo e la lancia sta Romolo e di fronte a lui, a braccia aperte, pare fermarlo Ersilia, che diventerà sua moglie.

Toto in “Il ratto delle sabine”,
di Mario Bonnard, 1945

Anche il cinema ha voluto rappresentare questa vicenda. In Italia nel 1910 uscì un cortometraggio in una bobina per la regia di Ugo Falena, visibile su: https://it.wikipedia.org/wiki/Il_ratto_delle_Sabine_(film_1910) . Poi nel 1945 Il ratto delle Sabine, diretto da Mario Bonnard, riedito nel 1950 col titolo Il professor Trombone. Aristide Tromboni, interpretato da Totò, con la sua compagnia teatrale vorrebbe allestire la vicenda delle Sabine ma la recita si rivela un fiasco enorme mentre, alla proiezione dei film, il pubblico si divertì moltissimo. Nel 1961 uscì Il ratto delle Sabine diretto da Richard Pottier, in cui compaiono attori diventati famosi come Roger Moore (Romolo), Mylène Demongeot, Folco Lulli, Rosanna Schiaffino.

Articolo di Maria Luisa Berti

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