“19 luglio 1992, quando ho perso il mio amico Paolo Borsellino”

Oggi 19 luglio 2022 è l’anniversario della morte di Paolo Borsellino e dei cinque membri della sua scorta Agostino Catalano, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi e Vincenzo Li Muli. La strage è avvenuta a soli 57 giorni dall’attentato di stampo mafioso che uccise Giovanni Falcone.

Pubblichiamo oggi un breve estratto dal libro del Prof. Antonino Cassata, docente, scrittore e scultore, di Castelnuovo di Porto (RM).

“Nella terza C col mio compagno Paolo Borsellino” .

Il 19 luglio1992, alle ore 16,58 all’improvviso si sono interrotte le trasmissioni ed il cronista con la voce grave annunciò: “Una Fiat 126 imbottita di tritolo è esplosa in Via D’Amelio, mentre il giudice Paolo Borsellino usciva dal palazzo, dove si era recato in visita alla madre.  Sono Il morti il Giudice e gli uomini di scorta … “ 

Mi mancò il respiro, come se mi avessero dato un pugno violento nello stomaco!  In un attimo si era conclusa la parabola esistenziale di quel mio amico, conosciuto sui banchi  della Terza C del Liceo “Giovanni Meli” di Palermo, col quale avevo diviso le esperienze, i progetti ed i sogni  della vita …  Rimpiansi quei tempi felici e spensierati in cui avevamo un’ansia frenetica di crescere e realizzarci. Avevamo allora la felicità a portata di mano ed invece la cercavamo nel futuro, dove ci avrebbero atteso al varco branchi di lupi impazziti, pronti a tendere agguati per difendere la riserva della loro illegalità. 

Corsi in cantina a cercare una foto di classe, dimenticata tra le pagine di un vecchio libro di Fisica, una foto che avevamo fatto nella palestra del Liceo alla fine di quel maggio del 1958, per mostrare alle mie figlie quel ragazzo seduto accanto a me nella prima fila, che dopo una brillante carriera nella lotta alla Mafia  proprio in quel giorno era stato vilmente assassinato. 

Mi commossi nel vedere in quella foto i nostri volti giovani e in un flash improvviso mi vennero in mente i ricordi di quella fase lontana della vita e i cognomi dei miei compagni: Bonaccorsi … Borghesan … Borsellino … Mandalà … Laffi … La Monica …Licata … 

Mi sono sentito vicino e nello stesso tempo tanto lontano da loro, come una rondine che emigra  dalla sua terra, ma che continua a conservare nel cuore le immagini e i ricordi dei suoi cari. 

Qualche giorno più tardi mi emozionai nel leggere sul giornale un’appassionata commemorazione di Paolo da parte del nostro compagno Umberto Laffi, ormai professore di Storia Romana all’Università Normale di Pisa.   Anche lui, come me, non aveva dimenticato il passato. 

Avrei voluto chiamare al telefono tutti i compagni di quella fotografia, come avevo fatto quando, in seguito ai tafferugli violenti tra le fazioni di destra e quelle di sinistra nella Facoltà di Legge, mi dissero che avevano portato  Paolo in Commissariato … ma eravamo ormai combattenti solitari, lontani e dispersi per le vie del mondo e non più una squadra unita e compatta. 

Quell’assassinio del mio compagno fu per me uno shock troppo violento e, se volevo nuovamente riconciliarmi con la vita, dovevo rimuovere dalla mia coscienza quel misfatto efferato dell’umanità e rifugiarmi nella magia dei ricordi. 

Con questi  miei ‘ricordi’ vorrei sfatare il mito che l’eroe è dotato di superpoteri e vorrei dimostrare che la grandezza di un eroe consiste invece nel difendere anche col sacrificio della vita i valori in cui crede, pur vivendo la  normale quotidianità della propria vita. 

La questione triestina

Alla fine di aprile cominciarono le trattative internazionali per dare un assetto definitivo a Trieste e al suo territorio sotto la giurisdizione italiana.  Quella situazione politica ormai si trascinava dal 26 ott. del 1954, quando il territorio di Trieste fu diviso nella zona A, assegnata all’amministrazione italiana, e nella zona B, assegnata all’amministrazione Jugoslava.  Fin d’allora un forte fermento patriottico aveva pervaso la classe studentesca, che reagì con scioperi e proteste alle continue usurpazioni del territorio triestino da parte del Governo Jugoslavo, rivendicandone l’assegnazione definitiva alla Nazione Italiana. 

In quei giorni compresi che ‘la questione triestina’ era diventato il chiodo fisso del mio amico Paolo, che riuscì a coinvolgermi emotivamente nell’organizzazione del  primo sciopero del nostro Istituto per sollecitare il trattato per il riconoscimento definitivo delle frontiere. 

Un pomeriggio, durante l’assenza del prof. Di Educazione fisica,  Paolo mi portò in un circolo giovanile, dove con altri compagni confezionammo tante bandierine tricolori, cartelli e striscioni inneggianti a Trieste libera. 

Nei giorni successivi subii un sistematico lavaggio del cervello sulla necessità di scioperare contro lo status di Trieste, ancora amministrata in forma fiduciaria, e contro l’annessione di Tito di una parte del suo territorio, e,  malgrado mi fosse stato tassativamente vietato di scioperare dai miei familiari, che ritenevano lo sciopero un espediente per marinare la scuola, alla  fine Paolo fu così convincente che riuscì a convertimi in un fervente patriota. 

Venne finalmente il gran giorno della protesta e Paolo in quell’occasione dimostrò di avere la stoffa del leader, capace di guidare le masse degli indecisi e di infiammare gli animi dei seguaci. 

L’adesione allo sciopero fu generale.  Tutte le classi si assemblarono nell’ampio piazzale davanti alla Scuola, agitando bandierine tricolori e cantando inni patriottici. 

Il Preside, infuriato per quella manifestazione che disonorava il buon nome della sua Scuola, mandò fuori i bidelli con l’intento di convincere il gregge dei più deboli ad entrare, isolando così i più facinorosi, ma quella manovra meschina irritò gli animi di tutti noi  e preparammo la controffensiva.  I ragazzi, proprietari di motociclette, si schierarono davanti alla scuola con motore acceso e non appena gli altri compagni issarono a forza i bidelli sul sellino posteriore, partirono a razzo andandoli a depositare lontano nel piazzale di Monte Pellegrino, poi, trionfanti per quell’impresa epica, ritornarono alla base e si unirono al nostro corteo. 

Io stavo per compiere 18 anni e non avevo mai scioperato in vita mia. Quel giorno non potevo tornare a casa in anticipo, perché, secondo i principi vigenti nella mia famiglia, non avrei dovuto aderire allo sciopero e comunque sarei dovuto entrare  in classe, io, invece, non ebbi né la volontà, né il coraggio di fare il crumiro. 

Paolo, bello e suadente come un oratore dell’antica Grecia, da uno sgabello a ridosso di una palma, arringava la folla degli studenti con un rudimentale megafono ad imbuto: 

Dobbiamo protestare contro i trattati che vogliono staccare l’italianissima Trieste dalla madrepatria!  Con tenacia e con passione dobbiamo ribadire dinanzi al mondo il suo incrollabile diritto di essere italiana…”.

In quel momento ammirai la sua abilità oratoria e quella sua disinvoltura nell’arringare la folla e suscitare gli applausi non solo di noi studenti, ma anche dei passanti. 

Sventolando le bandierine tricolori, con Paolo e gli altri compagni, continuai a cantare a squarciagola fino a perdere la voce:    “ O Trieste o Trieste del mio cuore, ti verremo a  liberar ! …”  

Quando la folla degli scioperanti si dileguò dallo spiazzo davanti alla scuola, stavo per essere trascinato da alcuni compagni nella scorribanda in una “casa chiusa” non lontana dalla Scuola, dove speravano di entrare con la complicità della ‘maitresse’ che avrebbe chiuso un occhio sulla loro età minorile, quando invece, vedendo Paolo che in quel momento si stava avviando verso casa, decisi di raggiungerlo.  Gradì molto la mia compagnia e mi parlò con entusiasmo dello svolgimento della manifestazione, mostrandomi anche un rullino di fotografie da sviluppare per la documentazione dell’evento sul giornale  “Agorà”, che lui dirigeva. 

Ad un tratto lo interruppi e con una certa preoccupazione gli dissi: 

Ho sentito dire che il Preside abbia denunciato per sequestro di persona i ragazzi che hanno portato via i bidelli … ” 

Spero che non l’abbia fatto, altrimenti proclamiamo un altro sciopero!   Comunque mi sembra un controsenso … Sia lui che i professori e mio padre e tuo padre … hanno combattuto contro l’invasione del sacro suolo della Patria e adesso con quale coraggio potrebbero essere favorevoli a svenderlo?  Tu puoi capire meglio di me che noi non possiamo svendere quello che i nostri padri hanno difeso a costo  della loro vita … – 

Con me sfondi una porta aperta, perché sono pienamente d’accordo con te.  Io sono orfano di guerra e mio padre morì per difendere ‘il sacro suolo della Patria ’e del suo grande sacrificio mi rimane solo una medaglietta di bronzo dimenticata in fondo ad un cassetto … – 

Paolo mi strinse il braccio per farmi sentire la sua solidarietà e aggiunse: 

Domani vedremo … Se è vero quello che dici, porterò il Comitato a parlare col Preside … 

(Dal libro di A. Cassata:  “NELLA TERZA C COL MIO COMPAGNO PAOLO BORSELLINO”) 


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