IL TRITTICO DEL SS. SALVATORE DI ANTONIO DA VITERBO, CUSTODITO A CAPENA (Roma)

Il Trittico di Antonio da Viterbo (Capena-Roma)


Il Trittico del SS. Salvatore (o del Redentore) di Antonio da Viterbo è attualmente
esposto e conservato all’interno della cappella laterale sinistra del transetto della chiesa
parrocchiale San Michele Arcangelo di Capena.


Nascita e storia dell’opera:


Datato alla metà del XV secolo, venne probabilmente commissionato all’artista dai
rappresentanti locali dei Monaci di San Paolo, che allora risiedevano e governavano l’antica Leprignano,
o forse proprio dalla stessa Abbazia di San Paolo fuori le Mura.
Il dipinto è profondamente legato alla vita religiosa della comunità capenate e, sin dai
tempi antichi, veniva smontato e portato in processione ogni anno nella data del 15 agosto; addirittura
Anna Cavallaro menziona come l’opera fosse stata portata in processione a Roma in occasione
dei giubilei del 1650 e del 1675.

La storia del Trittico appare piuttosto movimentata per quel che riguarda i suoi ultimi
due secoli di vita, durante i quali subì lo smembramento dei pannelli e diversi restauri.
Nell’Ottocento, in particolare, la pala centrale venne inserita in un baldacchino ligneo, realizzato su disegno di Pietro Camporese il Giovane, per facilitarne il trasporto durante la processione della festa
dell’Assunta, mentre gli sportelli laterali furono conservati dapprima nel Palazzo dei Monaci dell’allora
Leprignano, e quindi trasferiti nella pinacoteca dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura.

Nei primi decenni del XX secolo la tavola centrale del Salvatore viene ricordata
all’interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie, custodita in un armadio; proprio in quegli anni,
l’allora Soprintendente alle Gallerie di Roma, Federico Hermanin, verificato che il dipinto
versava in un cattivo stato di conservazione, che veniva portato in processione senza aver richiesto
alcun nulla osta e che era custodito in maniera precaria in una chiesa quasi abbandonata, esortò le
autorità locali a trovare una sistemazione più degna e proibì di portarlo in processione. Il dipinto fu
quindi trasferito nella parrocchiale di San Michele Arcangelo, dove risulta custodito già dal 1927, e l’allora
parroco don Francesco Mirra, in accordo con il Soprintendente, nel 1936 propose e
ottenne di restaurare l’opera e di far eseguire una copia da portare in processione, copia tuttora
utilizzata nella famosa processione dell’Incontro che si tiene ogni anno la sera del 14 agosto.
Soltanto nel 1963 fu finalmente possibile riunire definitivamente la tavola centrale con
gli sportelli laterali, e ammirare nuovamente il Trittico, restaurato ancora in quegli anni, nella sua interezza, come lo vediamo oggi.


Il Trittico. Pittura e iconografia:


Il Trittico si compone di tre pannelli lignei dipinti, costituiti da una pala centrale e due
sportelli laterali chiudibili, uniti al pannello centrale per mezzo di cerniere.
Il dipinto centrale raffigura frontalmente il Salvatore in trono, vestito secondo lo stile
dell’epoca in tessuti preziosi damascati e mantello di ermellino, considerato un simbolo della
Resurrezione; la mano destra colta nell’atto della benedizione, la mano sinistra che reca un libro aperto
dove si può leggere “Ego sum lux mundi et veritas et vita Ego sum alfa et omega…”, l’aureola dorata
riccamente decorata, sopra cui trova posto la figura del Padre Eterno che sporge da una
nuvola. Il trono è rappresentato secondo un accenno di prospettiva ed è posizionato in una sorta
di spazio tridimensionale.

Negli sportelli sono raffigurati due santi apostoli: in quello di sinistra San Pietro,
riconoscibile dal simbolo iconografico delle chiavi, mentre in quello di destra è stato invece dipinto San
Paolo, riconoscibile dalla spada che impugna nella mano destra, santo al quale è dedicata
l’omonima abbazia di San Paolo fuori le Mura, che all’epoca dominava anche il territorio di
Leprignano.
Al di sopra dei due apostoli, sulle cuspidi del Trittico, trova posto una piccola
Annunciazione, dipinta con uno stile differente e la cui mano non è stata ancora del tutto attribuita.
Sul retro degli sportelli è possibile ammirare invece un’altra Annunciazione, dove a
sinistra un Angelo recante in mano un giglio, simbolo di purezza, si rivolge alla Madonna,
rappresentata a destra su un trono, a formare una raffigurazione dall’aria goticheggiante. Un telo
damascato fa da sfondo alla scena, lasciando intravedere in secondo piano una parte di giardino
medievale o hortus conclusus. 
La coppia è sormontata dalla figura del Padre Eterno benedicente, che ancora una volta sporge da una nuvola e presenta una non comune aureola di forma quadrata.
Anche questa Annunciazione sembrerebbe poter essere riferibile ad una mano
differente rispetto a quella riscontrabile nei dipinti del SS. Salvatore e degli Apostoli, realizzati da Antonio da Viterbo forse con l’ausilio di un aiuto della sua bottega, tanto che Federico Zeri ipotizzò per il
retro degli sportelli un intervento posteriore ricollegabile a pittori antoniazzeschi.


Antonio da Viterbo e il Trittico:


Il collegamento del Trittico con il pittore Antonio da Viterbo, da non confondersi con
l’Antonio da Viterbo o del Massaro detto il Pastura, è comunque indubbio, in quanto esso costituisce
la sua unica opera firmata, come testimoniato dalla scritta riportata in basso sulla tavola del SS.
Salvatore, che recita Antonio de Biterbo pensi in Roma MCCCC…, dove la data non risulta
perfettamente leggibile.

Come riportato dalla Russo, riguardo la datazione dell’opera, il Cavalcaselle (1887) e il
Van Marle (1927) assegnano entrambi la data del 1402, tuttavia la data corretta sembrerebbe
essere stata trascritta da C. Barbetti nel 1882 ed essere riferibile al 1451 o 1452.
Per quanto riguarda il luogo in cui le tavole sono state dipinte, la scritta sopra citata
riporta la città di Roma. Come evidenziato da Petrocchi, infatti, l’ambiente provinciale di Viterbo, la
città natale del nostro artista, anche a causa della crisi economica, doveva offrire ben poche
opportunità agli artisti del tempo, che quindi erano spinti verso l’ambiente Romano.
Antonio da Viterbo, in particolare, lavorò per i benedettini e l’Abbazia di San Paolo fuori
le Mura, in quanto proprio a lui sono attribuibili i dipinti che decorano i sottarchi del Battistero,
così come pure le Storie della Passione dipinte nel refettorio del monastero di Santa Francesca
Romana.

Ad una prima fase del suo lavoro, probabilmente ispirato dall’opera del pittore folignate
Bartolomeo di Tommaso, ne segue una successiva in cui, come sottolineato da Petrocchi
e De Simone, la sua attività sarà influenzata da quella di Benozzo Gozzoli. A questo
periodo, ad
esempio, potrebbero essere riferibili le altre opere attribuite ad Antonio da Viterbo,
quali il San Vincenzo Ferrer di Tivoli e la Madonna di Palombara Sabina.

arch. Emanuela Carratoni
dott.ssa Loredana Carratoni


Bibliografia
De Simone, G., Antonio da Viterbo, San Vincenzo Ferrer, 1455 c., Tivoli, S. Biagio, in
Benati, D.,
Paolucci, A., Natale, M. (a cura di), Melozzo da Forlì: l’umana bellezza tra Piero della
Francesca e
Raffaello, catalogo della mostra (Forlì, Musei San Domenico, gennaio-giugno 2011),
Cinisello
Balsamo (Milano), 2011, pp. 190-191.
Petrocchi, S., Roma 1430 – 1460: pittura romana prima di Antoniazzo, in Cavallaro, A.,
Petrocchi,
S., (a cura di), Antoniazzo Romano. Pictor urbis 1435-1440/1508. Catalogo della mostra
(Roma, 31
ottobre 2013-2 febbraio 2014), Cinisello Balsamo (Milano), 2013, pp. 12-19.
Petrocchi, S., Prolegomeni a una storia della pittura viterbese del Quattrocento, in
Cristallini, E. (a
cura di), Memoria e materia dell’opera d’arte. Per nuovi orizzonti di ricerca, Gangemi
Editore,
2018, pp. 67-78.
Russo, L., La decorazione di S. Michele Arcangelo ed il trittico di Antonio da Viterbo, in
AA.VV.,
Capena e il suo territorio, Edizioni Dedalo, 1995, pp. 185-195.
Russo, L., Santarelli, F., La media valle del Tevere, riva destra : repertorio dei dipinti del
Quattrocento e Cinquecento, Roma, Argos, 1999, pp. 24-26.
Van Marle, R., The Development of Italian Schools of Painting, Vol. VIII, The Hague, 1927,
pp. 439-440

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