Mentana sparita: San Giorgio in Alga

MENTANA

Articolo di Roberto Tomassini

Architrave con la scritta S. Salvat{ore}

Dell’antico convento di San Giorgio in Alga che dagli inizi del XVI secolo sorgeva fuori delle mura del Castello di Mentana, rimane ormai solo una traccia nel nome di una strada: Via San Giorgio“. Il percorso viario che dall’imbocco di Via Amendola si collega con parallela Via Monterotondo, circoscrive, infatti, l’area in cui sorgeva in antico complesso monastico, di fronte all’edificio della scuola elementare, dove fino a poco tempo fa, ancora si poteva vedere qualche frammento murario aggregato in alcune facciate delle nuove costruzioni. 

In questa zona sorgeva la Grangia e Convento di San Giorgio in Alga, intorno alla quale si svilupparono nel tempo alcune pertinenze tra cui un Granaio Grande e poco più oltre il Casale detto di Salincerqua, che i vecchi mentanesi chiamavano ancora “lu Casale dell’Abbade”

Per Gràngia o Grància s’intende un’organizzazione monastica, di persone e beni economici, costituita inizialmente da edifici rurali sui terreni di un’abbazia per la custodia dei prodotti agricoli, ed in seguito trasformata, per il lavoro manuale dei monaci stessi, in una piccola comunità monastica governata da un rappresentante dell’abate e un’unità economica amministrata dal cellerario o monaco granciere; ampliata dalla popolazione laica dei salariati, contadini, pastori, piccoli artigiani, diede origine a villaggi rurali che conservano tuttora la denominazione originaria di Gràngia o Grància (cfr. Vocabolario della Lingua Italiana. Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1987, vol. II, p. 679). 

Da quanto emerge da antichi documenti, già intorno al 1485 i monaci di San Salvatore in Lauro (canonici regolari di San Giorgio in Alga) possedevano dei beni in Mentana, che probabilmente facevano parte della dotazione patrimoniale annessa al beneficio costituito in loro favore dal Card. Latino Orsini, se poteva affittarne la «taverna dicte ecclesie S. Georgii prope ecclesiam S. Antoni extra dictum castrum cum horto et prato», ma il convento di San Giorgio fu edificato soltanto intorno al 1506, allorché cadde definitivamente in rovina la chiesa di Santa Maria dell’Arco, inclusa al castello di Monte Gentile, che inizialmente era stato assegnato ai monaci di San Salvatore da papa Giulio II. 

I monaci gestivano cospicui possedimenti fondiari, derivanti da acquisti e donazioni, che erano la fonte principale di sostentamento del monastero. A Mentana i possedevano molti terreni ed una casa all’interno del Borgo in un’abitazione contigua all’acro d’entrata, dove, come ha scritto Tomassetti, si ammira una finestra marmorea guelfa crociata databile al XVI sec.  Essa, ripartita in quattro parti dai bracci e dall’asse verticale di una croce. Ancora oggi reca sull’architrave della porta il titolo di “S. SALVATORE [in Lauro]” (Forse uno scalpellino inesperto ha inciso una S rovesciata Ꙅ).  

È probabile inoltre che a questa presenza si deve ricollegare l’esistenza di una statua del Santo titolare, registrata da molti autori del passato, tra i quali il Gregorovius, in Piazza San Nicola. L’anonimo autore di “Viaggio da Roma a Nomento” nel 1867 scrive a questo proposito “Fra i molti frammenti di marmi di cui abbonda Lamentana, vedesi nella piazza un alto rilievo antico di grandezza naturale, a cui quei del luogo danno il nome di S. Giorgio.” Il monastero aveva diritto di vigesima sopra il castello diruto di Monte Gentile, in alcuni terreni della tenuta di Tor Lupara e nello stesso territorio di Mentana.   

I Canonici Regolari di S. Salvatore in Lauro sono ricordati ancora a S. Giorgio nel 1615, in una Visita del vescovo Giustiniani, contenuta a sua volta nella Visita Corsini del 1782. Abbiamo poi la descrizione della Visita del 1660 della chiesa «S. Georgi Rurali seu Grangia». In essa la chiesa appare completa di un altare maggiore di marmo ed uno ligneo, arredi liturgici ed un’immagine di S. Giorgio scolpita in noce, mentre il pavimento è descritto essere in cotto, il tetto «apertum lateribus et imbricibus», con due campane. 

Unita al convento è una domus, dove una volta abitarono i Canonici ed in seguito i «conductores et famuli», che custodivano le chiavi delle porte. Se ne trae quindi l’impressione di una chiesa attiva, con annessi strutture di carattere rurale. La caratteristica del complesso rurale è anche presente nel documento di vendita da parte di S. Salvatore in Lauro al principe Borghese nel 1664. I beni venduti consistono in «una casa grande con Oratorio ovvero chiesa contigua ad essa casa, sotto l’invocazione di S. Giorgio (. . .), una vigna con orto e terreno di r. 4 in circa, in tutto circondati parte da muri e parte da siepe posti vicino ed intorno la detta casa grande». La documentazione successiva non menziona più la chiesa: nel 1667 una vigna è concessa «in loco detto il recinto di S. Giorgio» e nel 1765 abbiamo l’inventario della “Fabrica di S. Giorgio“. In esso si parla di un cortile dopo il cui ingresso, a sinistra, si contano undici stanze, delle quali una è adibita a mangiatoia per i cavalli Vengono descritte altre stanze al piano superiore, il granaio, con pavimento in cotto e tetto di tegole in buono stato, ma della chiesa nessuna menzione. 

L’amministrazione di questi beni e della ricchezza prodotta nei poderi abbaziali era affidata al cellerario o governatore che con l’ausilio dei conversi gestiva la grangia; qui alcuni locali erano adibiti a stalla, in altri avveniva lo stoccaggio delle provviste: legumi, granaglie, vini, formaggi ecc. Con le derrate alimentari della grangia si riforniva la dispensa del monastero. I monaci avevano diritto d’esenzione che sottraeva ai vescovi la giurisdizione di monasteri e grange trasferendola all’abate.  

Anche la grangia di San Giorgio era gestita da un governatore e da alcuni monaci come si trova riscontro nei registri parrocchiali dove si trovano frequentemente citati.  Essi erano anche invitati alle funzioni in parrocchia e partecipavano della vita della chiesa di san Nicola. Nel corso del 1587 il Rev.mus Bernardinus paduanus Gubernator Sancti Georgi, amministrava i sacramenti e celebrava le messe aiutando l’arciprete di Mentana. 

Casella di testoNella mappa del territorio di Mentana delineata dall’architetto Francesco Peperelli intorno al 1618, il complesso monastico è raffigurato come orientamento verso Est. Il convento si allarga attorno ad un cortile centrale, con gli edifici posti introno ed il tetto a doppio spiovente su cui emerge la torre campanaria. 

Più in particolare, gli inventari della Casa Borghese descrivono l’edificio con due ingressi. Entrando dal portone principale si accedeva in un ampio cortile o chiostro dove a sinistra si aprivano undici stanze e a man destra altre cinque. In una di dette stanze una mangiatoia di muro serviva per i cavalli. 

 Una scala con scalini di mattoni posti a costa, conduceva al primo piano sulla cui sommità, si aprivano cinque stanze da un lato ed altre due grandi stanze dall’altro. Incerto rimane il periodo della demolizione della chiesa: il Tomassetti la elenca tra le chiese demolite, mentre in un periodo imprecisato, poco prima del 1919, essa è definita ormai mezza diruta. 

Dopo la soppressione dei canonici regolari, avvenuta nel 1669, il complesso fu acquistato dal Principe Giovanni Battista Borghese, che lo trasformò in granaio e magazzino “per lo spiano del forno“.  L’edifico fu venduto ai privati nel 1875. 

Roberto Tomassini
Roberto Tomassini

Roberto Tomassini è grande appassionato di storia e autore di libri sulla città di Mentana

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