La via Salaria

Il collegamento romano tra il tirreno e l'adriatico

La consolare Salaria, oggi SS4, collegava Roma al Mare Adriatico, presso Porto D’Ascoli, e valicava l’Appennino Centrale al Passo della Torrita. La via fu tracciata nel II millennio a.C. dai Sabini che controllavano il territorio di Rieti. Essa trae origine da un tratturo lungo il corso del Tevere che serviva a trasportare le pecore dai monti dell’interno agli stagni di Ostia e che veniva utilizzato anche per il trasporto del sale. Il sale proveniva dal Campus Salinarum, alla foce del Tevere, e anche da una sorgente di acqua salata a Mozzano.

Conquistata la Sabina nel 290 a.C., ad opera del console Manio Curio Dentato, i Romani divisero l’antica via in due tronchi: la Via Ostiense e la Via Salaria Vetus. Questa attraversava l’Urbe e, costruite le Mura Aureliane, usciva da Porta Salaria e si dirigeva verso l’attuale Forte Antenne, a Villa Ada. Secondo l’itinerario che l’imperatore Antonino tracciò per indicare il percorso della Salaria, itinerario poi seguito nella Tabula Peutingeriana, le principali stazioni erano: Roma- Fidene- Rieti- Cotilia- Antrodoco- Vicus Falacrinae- Cittareale- Vicus Badies- Tufo- Centesimum- Trisungo- Quintodecimo- Ascoli- Porto d’Ascoli.

            A Villa Ada, dove ora c’è Forte Antenne, sorgeva alla confluenza dell’Aniene nel Tevere, la città sabina di Antemnae (ante amnes: davanti ai fiumi) anticamente fondata dai Siculi, conquistata poi dagli Aborigines. Gli Antemnati, dopo il Ratto delle Sabine, cominciarono a razziare il territorio dei Romani. Romolo, dopo averli sconfitti, fondò una colonia nella loro città. Qui nell’82 a.C.si svolse la battaglia di Porta Collina che vide la vittoria di Silla sui seguaci di Mario. L’imperatore Nerva fece costruire una variante, la Salaria Nova, che collegava più velocemente Antenne con il ponte Salario sull’Aniene e che tuttora è il tracciato dell’antica via consolare entro Roma. La città di Antemnae andò in decadenza fino ad essere sostituita da una villa romana. Le sue mura erano in tufo ad opus quadratum alte anche 7 metri, databili tra il VI e il V secolo a.C. Nel sito archeologico, in gran parte distrutto per la costruzione di Forte Antenne, si riconoscono fondazioni in tufo, coperture di tegole, impianti termali e reperti votivi a Giunone Sospita.

Appena dopo la Porta Salaria, all’angolo con Via Piave e Via Quinto Sulpicio Massimo, è stato ritrovato il monumento funebre a Quinto Sulpicio Massimo. Si tratta di un cippo marmoreo che poggia su uno zoccolo di travertino e che presenta, dentro una nicchia, un altorilievo raffigurante un fanciullo con in mano un rotolo contenente un carme, i cui versi sono incisi ai lati della nicchia. L’originale, ora conservato ai Musei Capitolini, fu ritrovato nel 1871 quando fu abbattuta la Porta Salaria, gravemente danneggiata durante un cannoneggiamento dell’anno recedente. Era inglobato nelle fondamenta della torre cilindrica ad est della porta. In quella occasione fu rinvenuto anche un sepolcro a camera risalente, come il monumento, al I secolo d.C.           

La tomba di Quinto Sulpicio Massimo, Il monumento originale si trova ai Musei Capitolini; una copia è situata all’angolo tra Via Piave e Via Quinto Sulpicio Massimo.
 

La Salaria proseguiva verso la Borgata Fidene, sui colli di Villa Spada, poi passava per Settebagni, dove c’erano un’antica villa romana e vari sepolcri, e raggiungeva la collina della Marcigliana, dove esisteva l’insediamento Crustumerium. Questo antico insediamento dei Latini, sorto tra X e IX secolo a.C., sorgeva sulle alture della Marcigliana Vecchia, tra Fidenae ed Eretum, e secondo gli scrittori antichi si affacciava sul Tevere. Le sue vicende si collegano alla storia di Roma fin dal Ratto delle Sabine. Fu una fiorente città, centro agricolo e nodo commerciale, fino alla sua decadenza verso il V secolo. Plinio la ricorda tra le città scomparse. Gli scavi della Soprintendenza Archeologica di Roma, iniziati nel 1982, hanno messo in luce circa duecento sepolture con notevoli corredi funerari, soprattutto ceramiche e bronzi.

Nelle vicinanze sorgeva Nomentum, città sabina che lottò a lungo contro Roma da cui fu definitamente sconfitta nel 338 a.C. per poi diventare municipio romano. Era collegata all’Urbe tramite la via Nomentana. Centro di produzione di vini, era nota per la stazione termale di Aquae Labanae, nella località di Grotta Marozza. Qui avevano le loro ville Seneca e Marziale. Nel 408 divenne sede episcopale, poi aggregata alla diocesi di Curi. Dopo l’occupazione longobarda (741) l’abitato venne spostato in un luogo più difendibile, circa dove oggi si trova Mentana. Nella Riserva Naturale di Nomentum sono i resti delle mura dell’antica città (IV sec.a.C.), una necropoli con 35 sepolture databili tra Il II sec.a.C. e la fine dell’Impero Romano.

            Eretum, nell’attuale zona di Monterotondo, sorgeva all’incrocio della via Nomentana con la Salaria. Gli scavi hanno qui ritrovato una strada romana pavimentata con basoli (massi) di calcare ai cui lati. sono state rinvenute varie sepolture, databili dalla tarda età repubblicana fino al III sec.d.C.
A Colle del Forno, sulle vicine alture, è stata ritrovata una necropoli con 40 tombe a camera, tra cui la più notevole si è rivelato essere l’undicesima, appartenente ad una famiglia di alto rango, come si deduce dalla raffinatezza dei corredi funerari. Il primo scavo archeologico del 1972 rivelò che la tomba era stata svuotata, con uno scavo clandestino, ma c’erano ancora da scavare una settantina di metri. Si scoprì che inizialmente il sepolcro era per una donna importante il cui feretro era stato deposto su una lettiga di legno con un corredo di lamine auree. Le ricerche hanno permesso di ricostruire lo storia di quel primo scavo. Il trafficante Giacomo Medici vendette quei ritrovamenti illegali al Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, tramite l’intermediario americano Robert Hecht. Paola Santoro, dirigente del Cnr, sospettò che appartenessero alla Tomba XI. Fu aperto un sito internet che permettesse agli esperti di Copenaghen e del Museo di Fara di visionare l’interno della tomba per accertare la provenienza dei reperti danesi. Finalmente nel 2016 sono stati restituiti all’Italia e nel 2021 esposti al pubblico in una mostra a Palazzo Dosi-Delfini di Rieti. Gli oggetti più belli e interessanti sono un calesse e il carro su cui il cavaliere stava in piedi.

Il carro del principe della Tomba XI di Eretum

            Poi, superato Eretum, al miglio XXXIII, c‘era Vicus Novus o Mansio ad Novas, odierna Osteria Nuova. L’insediamento più antico di questa zona risale all’età del bronzo: si tratta di un villaggio terrazzato, dove sono stati ritrovati materiali vascolari. Questo corrisponderebbe, secondo le indicazioni di Dionigi D’Alicarnasso, all’antica Suesbula, fondata sul Monte Calvo dagli Aborigeni che qui avevano accolto i Pelasgi, emigrati dalla Grecia. Suesbula fu poi abbandonata durante l’età del ferro e in questo luogo i Romani fondarono una stazione di posta testimoniata nella Tabula Peutingeriana e dall’Itinerario Antonino: Vicus Novus. Alle pendici del monte è stata rivenuta nel 1824 la Villa dei Brutii Praesentes, con sculture di età antonina: busti di imperatori, statue delle Muse e il Satiro Danzante, l’unico reperto rimasto in Italia e conservato alla Galleria Borghese di Roma. Le altre statue furono vendute alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen.
            Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino), di antiche origini sabine, a Km. 60 da Roma, sorgeva sulle pendici meridionali dei Monti Sabini. Era un villaggio nel V sec. a.C., sorto forse per raccogliere i pastori che abitavano in capanne sparse nella zona dove sorgeva un santuario dedicato a Feronia, la dea della fertilità. I Romani nel I sec. a.C.ne fecero una città di cui restano le rovine del teatro, dei bagni, delle terme e dell’antica pavimentazione. Virgilio nel libro VII dell’Eneide ricorda i valorosi soldati dell’olivifera Mutusca: “Ereti manus omnis oliviferaeque Mutuscae”
           

Resti del teatro romano a Trebula Mutuesca, (Monteleone Sbino

Nei pressi di Trebula Mutuesca, si staccava, vicino a Ponte Buita, la Via Caecilia verso Atri e l’Adriatico. La Salaria, invece, dopo aver superato San Giovanni Reatino, costeggiava il fiume Turano e proseguiva verso la città sabina di Reate (Rieti). Superato il dislivello del terreno con un viadotto, la consolare entrava in città attraverso la Porta Romana dell’antica cerchia di mura e raggiungeva il Foro, dopo aver scavalcato il fiume Velino sul ponte romano di cui sono ancora visibili i resti. Usciva infine dalla città attraverso Porta Carana o Interocrina. Le origini della città si perdono nel mito: il nome Reate, infatti, secondo lo storico Giovanni Villani, deriverebbe da Rea Silvia, la vestale madre di Romolo, che lo zio Amulio avrebbe fatto seppellire viva vicino a Rieti. Altri fanno risalire il toponimo a Rea, moglie di Crono e madre degli dei, oppure deriverebbe dalla radice greca reo, che significa scorrere, perché il territorio era ricco di acque. I primi insediamenti nel territorio risalgono all’età del ferro (IX- VIII sec. a.C.). Vi abitarono gli Umbri poi gli Aborigeni e infine i Sabini che furono assoggettati dai Romani grazie al console Manio Curio Dentato. Questi bonificò il Lacus Velinus facendone confluire le acque sul fiume Nera, creando la Cascata delle Marmore e un’ampia pianura fertile. Rieti, crocevia tra i Monti Sabini e quelli Reatini, è una città ricca di storia antica e medioevale e, trovandosi al centro geografico dell’Italia, è detta l’Umbilicus Italiae.            

Rieti, resti del Ponte Romano sulla Salaria

Dopo Rieti la Salaria raggiungeva Civitas Ducalis, oggi Cittaducale, e Vicus Reatinus, Cotilia, centro termale che sfrutta le acque solforose, anticamente utilizzate anche dai Romani. Nelle vicinanze sull’altura di Caporio, lungo un pendio vicino alla consolare nord, sorge l’Area Archeologica delle Terme, o Villa di Vespasiano, dove l’imperatore era solito soggiornare e dove morì nel 79 d.c. La villa era costruita su quattro terrazzamenti, di cui ora sono visibili 200 metri di lunghezza, e nel secondo si trova una grande piscina (m.60 x 24) con scalette scavate nella roccia e attorno numerosi ambienti per servizi balneo-terapeutici.

            La Salaria proseguiva verso Mansio ad Interocrium, oggi Antrodoco, che era una stazione di posta per imperatori e notabili, famosa per le proprietà terapeutiche delle sue acque termali. Il toponimo deriva dall’osco ocre, tra le montagne: la circondano infatti il Monte Giano (con la scritta DUX, composta da alberi di pino), il Monte Nuria e il Monte Elefante nel Terminillo.
A Vicus Falacrinae, villaggio risalente al 290/280 a.C., Tito Flavio Vespasiano nacque da un’umile famiglia il 17 novembre del 9 d.C. e, come scrisse Svetonio, fu educato da una zia che viveva nella contrada Cose di Vicus Badiae , oggi San Pancrazio. Tracce dell’imperatore si trovano in tutta la zona. I primi scavi hanno portato alla luce un frammento di una base di statua con iscrizione romane: 14 versi per elogiare un comandante della guerra sociale tra Roma e gli alleati italici ribelli (91/89 a.C.). Successivi scavi a Cittareale hanno scoperto resti di un edificio pubblico, forse ad uso militare come palestra oppure per censire e arruolare le truppe. Nel 2006 è stata ritrovata una necropoli con 52 tombe del V/VI secolo d.C., ricche di bracciali, orecchini, collane e anelli. Nella frazione di Vezzano sono stati ritrovati un bucchero del VI sec. con le ossa di un neonato e tante monete. Nella zona di Poggio San Lorenzo, che era un castrum, sono visibili resti delle mura, di un complesso termale e di una grande villa romana di 2.500 mq., con un pavimento di marmi policromi nella sala principale, e a mosaici nelle altre due sale. La grandezza e il lusso potrebbero suggerire che anche questa villa fosse di Vespasiano.           

Resti della villa romana nella zona di San Lorenzo a Vitta Reale

Da Antrodoco a Posta il fiume Velino scorre tra profonde gole che un ramo della consolare risaliva grazie alle avanzate tecniche degli ingegneri di Augusto, Vespasiano e Traiano. Fu necessario scavare la via nella roccia e sono ancora visibili gli imponenti tagli delle pareti rocciose per permettere la costruzione della Salaria, come quello del Masso dell’Orso, alto 30 metri e lungo 20 metri. Al centro un incasso per una lapide a ricordo dei lavori eseguiti e accanto una nicchia per  l’immagine di una divinità a protezione dei passanti. Nelle vicinanze una pietra miliare di età augustea segnala il miglio LXVIII. Lungo le gole, superato il paese di Sigillo, poco prima di Posta si possono ammirare le “Vene Rosse del Diavolo”, un taglio rossastro della roccia, lungo 180 metri e alto 16 che, secondo una leggenda, sarebbero frutto di una diavoleria di Cecco d’Ascoli. Quel taglio fu voluto dall’imperatore Traiano dopo che una frana, caduta vicino al villaggio di Sigillo, aveva provocato vari danni.

Masso dell’Orso lungo le gole del Velino

        Uscita dalle gole, la via raggiungeva l’antica mansio romana di Posta, oltrepassava la valle Falacrina e raggiungeva il Passo della Torrita, dove scavalcava l’Appennino e scendeva nella conca amatriciana (la zona più colpita dal terremoto del 2016) e nella valle del Tronto. Al Passo della Torrita sono emersi ruderi di una villa romana dotata di un peristilio e di vari ambienti, sotto i quali c’era un impianto di riscaldamento “a pavimento”. Qui sono stati ritrovati resti di colonne e capitelli, vasi, attrezzi, monete e un busto raffigurante Cesare. Fu invece rubato e mai ritrovato un busto di marmo raffigurante una figura femminile nuda.

            La Salaria attraversava poi Accumuli e raggiungeva Pescara. Qui i primi insediamenti risalgono a 6.000 anni fa. Nel I sec. a.C. I Vestini vi fondarono un primo villaggio. presso le rive del fiume, che i Romani chiamarono Vicus Aterni, poi Aternum e, in età imperiale Ostia Aterni, cioè la foce dell’Aterno. Era il porto commerciale delle popolazioni circostanti: Vestini, Pelasgi e Marrucini. Con le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero Romano, la città andò in decadenza anche se il porto continuò la sua attività a fasi alterne in età medioevale. Intorno all’anno Mille la città cambiò il suo nome e divenne Piscaria.

            Da Pescara la Salaria proseguiva verso Arquata del Tronto, seguendo il fondovalle e costeggiando il fiume. In questa zona c’erano varie stazioni di posta: Vico Badies; Ad Martis, forse Tufo, costruita su un’altura per difenderla dalle inondazioni del fiume; Surpicano, per alcuni l’odierna Arquata, e Ad Centesimum, oggi Trisungo, una frazione di Arquata nella provincia di Ascoli Piceno, sulla riva destra del fiume. Il toponimo deriverebbe da tres e jungo, cioè tre e congiunto perché qui si incrociavano tre strade: la Salaria, il Vorsus verso Arquata e la via che portava a Colle. Erano tre anche i rioni della città: Contrada Ponte, Vicinato e Trisungo. Sorge a 601 metri s.l.m. tra le alte vette del Gran Sasso e dei Monti Sibillini. Lungo il fiume è stato ritrovato un rocchio di una pietra miliare romana in travertino, datato al 16 a.C. e murato sulla parete di casa Laudi. L’epigrafe incisa nel cippo ricorda una delibera del Senato con cui Augusto Imperatore dispose dei lavori di manutenzione sulla via consolare lungo la valle del Tronto.
            la Salaria procede poi per Quintodecimo, Acquasanta Terme, Mozzano e Ascoli Piceno.
I primi insediamenti ad Acquasanta risalgono alla preistoria, come testimoniato dai ritrovamenti di resti umani nella frazione di Umito, nelle caverne di Rio Secco e a Carpineto. Risalgono ad età romana le prime terme nell’attuale frazione di Santa Maria del Tronto, dove esisteva, secondo Tito Livio, una mansio. Nella Tabula Peutingeriana la località risulta come Vicus o Pagus ad Aquas.
Le terme romane, distrutte durante le invasioni barbariche, furono ricostruite ad Aquasanta.
Prima di Ascoli Piceno, nella frazione di Mozzano, sulla sponda sinistra del fiume, ci sono le antiche sorgenti d’acqua salata, sfruttate fin dall’antichità per ricavarne il sale bianco. Qui i Romani costruirono un castello di cui non si hanno notizie fino all’anno Mille quando Lupo di Rinaldi Cataldi divise la proprietà del Castello tra il figlio Cataldo, poi signore di Mezzano, e ad Emmone, primo vescovo-conte del contado.

            Ascoli Piceno trae il nome dai termini greco-romani Asculon ed Asclos. Comunque ci sono varie ipotesi sull’etimologia di Ascoli, basate su miti e fonti antiche, ma Giulio Cesare per primo la chiamò Asculum Picenum per non confonderla con Asculum Apulum, ora Ascoli Satriano. Il toponimo Piceno deriverebbe, secondo Strabone, Plinio e Paolo Diacono, da picus: un picchio verde, oppure un re Picus, che avrebbe condotto un gruppo di Sabini in questa zona durante un ver sacrum, una primavera sacra. I Sabini si sarebbero fusi con le popolazioni autoctone dando origine ai Piceni, che fondarono Ascoli 1600 anni prima della nascita di Roma. Nel 209 a.C. dichiarata civitas foederata,Ascoli divenne il centro principale del Piceno. Partecipe della Guerra sociale contro Roma, nell’89 a.C. dopo un lungo assedio fu conquistata dal generale Gneo Pompeo Strabone che fece trucidare i capi della rivolta ed esiliare molti cittadini. Le “ghiande missili” ritrovate con iscrizioni di invettive contro i nemici e di incitazione a colpirli, erano proiettili di piombo scagliati da ambedue le parti. Finita la guerra, Ascoli divenne un municipio iscritto alla Tribù Fabia. Poi partecipò per Cesare nella guerra contro Pompeo, e, durante il secondo triumvirato, divenne colonia triumvirale per il valore mostrato dal generale ascolano Publio Ventidio Basso nella guerra di Marco Antonio contro i Parti. Sotto Augusto Imperatore la città fu iscritta alla quinta regione italica, poi divenne una delle province della diocesi italica in seguito alle riforme decise da Diocleziano e da Costantino. Con la caduta dell’Impero Romano, Ascoli seguì le sorti della penisola italiana. Il centro storico della città conserva l’impianto ortogonale dell’urbanizzazione romana, cominciata in tarda età repubblicana. La Salaria entrava in città da ovest attraverso la Porta Gemina, seguiva il decumano massimo che, all’altezza del foro, incrociava il cardo massimo, poi usciva ad est, dove il torrente Castellano confluisce nel Tronto, passando sul ponte, detto “di Cecco”.            

La Porta Romana, o Porta Gemini di Ascoli Piceno

Dopo Ascoli la Salaria si dirigeva verso il Mare Adriatico e finiva il suo percorso al porto di Castrum Truentium, oggi Martinsicuro, vicino a San Benedetto del Tronto. I primi insediamenti nella zona risalgono all’età del bronzo ma furono i Romani a fondare la colonia di Truentum alla foce del Tronto. Divenne poi municipio col nome di Castrum Truentium che, in età augustea, fu collegato alla Salaria. Gli scavi degli anni novanta hanno permesso di localizzare l’insediamento sulla sponda meridionale del fiume e di ricostruire l’antica area urbana con il Macellum vicino al porto e ai locali per le merci del quartiere commerciale. Le attività principali erano la pesca, il commercio e la tintura delle stoffe, come ricorda l’epigrafe di Gaio Marcilio Erote pirpurarius, cioè commerciante di porpora. Dal VI sec. d.C. inizia il decadimento della città e del suo porto a causa dell’avanzamento della linea costiera e dalla crisi economica del tardo impero.

            Dalla Salaria si diramavano altre vie di comunicazione.
La Salaria Picena collegava Martinsicuro, con Ancona e Fano; oggi il suo percorso corrisponde alla SS16, l’Adriatica.
Il collegamento con la via Flaminia avveniva attraverso la Salaria Gallica che, secondo alcune fonti, cominciava nei pressi di Arquata del Tronto, attraversava i Monti Sibillini ed arrivava a Jesi. Per altri, invece, questa diramazione nasceva all’altezza di Ascoli e terminava sulla Flaminia a Forum Sempronium, oggi Fossombrone.
A Eretum, nella zona di Monterotondo, la Salaria incontrava la via Nomentana.
Al XXXV miglio da Roma, vicino a Trebula Mutuesca, si staccava la Via Caecilia che passava per Amiternum, nella piana dell’Aquila e arrivava ad Hatria, oggi Atri.

Mappa del Latium Vetus

FONTI

Il sistema viario romano, organizzato a partire dalle vie consolari, era importante sia per controllare il territorio conquistato, sia per favorire le comunicazioni e il commercio, sia per diffondere i caratteri peculiari della società romana. 
La Strada Statale 4, che segue il percorso della via Salaria, conferma la validità dei metodi di costruzione dei Romani e la loro capacità di individuare un sistema viario efficiente.

https://www.romanoimpero.com/2010/06/via-salaria.html

https://www.soprintendenzaspecialeroma.it/schede/parco-archeologico-di-crustumerium_3004/

https://www.formatrieti.it/il-misterioso-principe-di-eretum-e-il-suo-carro

Articolo di Maria Luisa Berti

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