
IL CIPPO Dl VIGNA SANTUCCI
Ricordi dedicati ai caduti di parte pontificia il 3 novembre 1867
Di Roberto Tomassini
Nei pressi dell’ingresso di Vigna Santucci a Mentana, dove il 3 novembre 1867 si combatté la prima fase della battaglia tra garibaldini e truppe pontificie, lungo la Via Nomentana, sorge un cippo marmoreo innalzato alla memoria di quanti caddero nel corso di quella battaglia.

Eretto probabilmente prima del 1870, cioè quando Mentana era ancora sotto il governo pontificio, il cippo è costituito da pietre provenienti dai reperti del sito dell’antica Nomentum che si trova solo a qualche centinaio di metri di distanza. Il parallelepipedo che forma la stele, infatti, non è altro che una parte di portale, il cui lato retrostante conserva tracce evidenti di un’elaborata lavorazione.
Il cippo è sormontato, da una base di colonna spezzata, poggiante su un blocco più piccolo, simbolo, fin dall’ antichità classica, della giovane vita spezzata improvvisamente dalla morte. Il monumento, abbandonato per lunghi anni, fu restaurato nel 1982 in occasione delle celebrazioni del centenario della morte di Garibaldi e da allora ogni anno, quando si rende omaggio ai caduti di tutte le guerre, anche davanti a quel cippo viene posta una corona d’ alloro.
Frontalmente, verso la Via Nomentana, la bianca lapide reca la seguente epigrafe, sormontata da una croce incisa:
PREGATE – PER 1 CADUTI – IN – BATTAGLIA
IL 3 NOVEMBRE 1867
Nel lato verso via di Vigna Santucci, invece, è scritto:
A SPESE – DEL – COMUNE – Dl – MENTANA
In queste ultime parole si potrà forse cogliere una punta di orgoglio da parte dell’Amministrazione di quel tempo, ma dobbiamo onestamente rilevare che i nostri trisnonni con quelle “spese” non andarono certo in rovina, poiché, come abbiamo detto, tutto il materiale fu raccolto a pochi metri di distanza dai ruderi dell’antica Nomentum. Ma quel monumento parlava solo di pietà dei mentanesi verso i soldati caduti in battaglia sull’uno e sull’altro fronte, senza nominare né pontifici, né garibaldini. Una testimonianza del grande rispetto per i caduti in battaglia qualunque fossero state le loro origini e la nazionalità. Ciò a dimostrazione sia dell’intensità della battaglia sia della sensibilità cristiana da sempre dimostrata dalla nostra gente.
La situazione però cambiò dopo il 1870. Le nuove istituzioni cittadine, in linea con gli orientamenti e l’ideologia del neonato Stato italiano, andavano incontro al bisogno di trovare canali di persuasione e di emozione patriottica con cui cementare il senso di appartenenza alla nazione intorno ai valori di una nuova religione laica.
Un ruolo decisivo che conferiva di ispirazione democratica e repubblicana alle varie proposte monumentali obiettivi dichiarati di propaganda laica ed anticlericale. Dai vecchi sussidiari delle elementari in su, l’esercito pontificio è così descritto: “mercenari papalini, soldataglia prezzolata arruolata tra la feccia del pianeta, gente che per amor di soldo e saccheggio difendeva il traballante trono di Pio IX e opprimeva il popolo romano, ultimo residuo delle tristi compagnie di ventura del peggior medioevo”
La relazione di Don Giovanni Picucci con il cippo di vigna Santucci
Tra i documenti dell’Archivio Borghese in Vaticano, è stato recuperato un documento dell’epoca, che ci fa intravedere e ci restituisce, l’atmosfera, il clima, la partecipazione della gente per farci meglio capire, e consentirci di affondare nella storia di quel periodo dove certo non mancarono anche accese polemiche.
Si tratta di una relazione, indirizzata probabilmente al principe Paolo Borghese, dall’Arciprete don Giovanni Picucci, mentanese, che in seguito divenne parroco di Mentana dal 1896 al 1913.

Il documento, corredato da una precisa riproduzione del cippo di Vigna Santucci con relative misurazioni, espone gli esiti di un’indagine eseguita relativamente periodo della costruzione del monumento per celebrare la memoria egli eroi garibaldini.
Per i caduti pontifici, che pure ebbero sepoltura sul campo di battaglia, come rivela questo scritto, ci fu invece solo la fossa comune e l’olio. Ciò che mancò fu il riconoscimento cavalleresco del valore del nemico, la persuasione che traspare dalla relazione del sacerdote è il tentavo che i vincitori della guerra risorgimentale abbiano compiuto una damnatio memoriae degli sconfitti ergendosi a rappresentanti dell’unica Italia possibile: la propria.
Credo probabile dunque che sia scoppiata una polemica su questo atteggiamento, che spinse don Giovanni a prendere carta e penna per far presenti le sue rimostranze. Il sacerdote racconta, infatti, che, oltre il cippo di Vigna Santucci, un altro monumento, esisteva nella piccola chiesa del Romitorio dove morì un ufficiale superiore e proprio nel punto d teatro di battaglia. Questo monumento esisteva nel mezzo della chiesa ma in quel tempo già era tutta diroccata, il tetto era crollato e non vi era no rimaste che le sole mura.

Il monumento perciò si trovava sotto le macerie e sarebbe stata necessaria un’escavazione per recuperarne i resti. Altro ricordo non rimane che delle firme graffite all’ingresso della chiesa.
Nella chiesa del Romitorio, infatti, i papalini, dopo l’occupazione, istituirono un servizio d’ ambulanza, mentre un altro funzionava presso il Conventino: del resto un po’ tutte le chiese furono usate come ospedale, anche da parte garibaldina.
Il Cicconetti, segnala in loco un secondo cippo, del quale si è persa traccia. Esso si trovava però all’esterno della chiesa del Romitorio, dedicato alla memoria del capitano de Veaux e qui spostato dai piedi dell’Immagine11a sulla via Nomentana, dove si trovava originariamente.
L’esposizione di don Giovanni Picucci, poi prosegue: probabilmente ha chiesto in giro, si è informato, molte cose forse le conosceva direttamente. Esistevano anche altri ricordi dedicati ai caduti di parte pontificia, proprio dove oggi sorge il monumento e l’ossario dei garibaldini ma, furono fatti a pezzi e sotterrati senza averne più traccia.
Théodore Wibeaux, volontario degli Zuavi
Un’ulteriore, diretta testimonianza a riguardo la racconta, Théodore Wibeaux, volontario degli Zuavi, che in seguito rivestì l’abito di gesuita, fu dei sottufficiali istruttori destinato nel settembre 1868 col grado di sergente al deposito di Mentana, Nei suoi diari, pubblicati postumi, egli ci ha lasciato alcuni momenti della vita che i militari svolgevano a Mentana.

«18 settembre 1868. Mi trovo a Mentana nel mezzo di piacevoli colline coperte da vigneti e da piccoli boschi, presto verrà il tempo della vendemmia ed io mi ritroverò fra grappoli d’uva. Dalla mia camera, una bella camera in verità, al mattino sento cantare il gallo e la sera vedo tramontare il sole. Assisto a questi spettacoli della natura, visito il campo di battaglia e raccolgo i miei pensieri: non sono lieti, ma fanno comunque bene all’anima. Ieri ci siamo seduti sul luogo dei Pagliai, ormai non si vedono che le pertiche2 , ma niente è cambiato; il suolo è ancora intriso di sangue. La nostra caserma ha un aspetto pittoresco, fiancheggiata da tomi rotonde con un portico non meno imponente; la chiesa è vicina, semplice come le più semplici chiese di paese, ma è aperta dalla prima ora del giorno fino all’ultima. Che cosa si può desiderare di più?»
Il 3 novembre 1868 ricorreva il primo anniversario della battaglia di Mentana. Wibeaux annota nel suo diario «Questa mattina il sole si alzato su Mentana in tutto il suo splendore, forse più radioso che non era quello di Austerliz. Abbiamo ascoltato la santa Messa sotto le armi poi abbiamo intonato il magnifico canto del Te Deum, sugli stessi luoghi della vittoria. Noi eravamo là, in quella umile chiesa, dove più di un ferito aveva sofferto, più di un moribondo aveva esalato l’ultimo respiro. Allorché proferiamo le parole «Te martyrum candidatus laudat exercitus! sembrava che questa folla di feriti ed agonizzanti si unissero a noi, per celebrare le lodi del Dio.degli eserciti.»
È poco noto, infatti, che il 20 dicembre 1867 lo stesso Pro-Ministro delle Armi Pontificie, gen. Ermanno Kanzler, chiedeva la Principe Borghese l’uso del Palazzo per istallarvi una guarnigione di Zuavi con lo scopo di istruire le nuove compagnie del Reggimento che arrivavano a Roma sempre più numerose. Il gen. Kanzler, nella sua lettera, afferma di aver trovato adatto il terreno di Mentana per le esercitazioni delle reclute, ma il nuovo pro-ministro, evidentemente consapevole che il momento decisivo doveva ancora arrivare, si concentrò a far sì che l’esercito pontifico fosse all’altezza della situazione e si trovava nella necessità di tenere dei distaccamenti di copertura sparsi nel territorio della Comarca di Roma: Mentana fu uno di questi. La guarnigione lasciò Mentana verso la metà d’ aprile 1870, quando venne trasferita ad Acquapendente.
In margine alle celebrazioni garibaldine, abbiamo voluto dedicare un ricordo anche a questi episodi spesso dimenticati e comunque poco noti della nostra storia. Come tra i garibaldini, anche buona parte dei pontifici erano volontari. Dall’una e dall’altra parte questi uomini, moltissimi era poco più che ventenni, credevano in un ideale anche se contrapposto, ma tutti furono pronti a dare la loro vita per questo scopo. I caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l’esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l’insegnamento d’ un nobile e assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona. Ancora dopo oltre 150 anni, questo insegnamento, che ci giunge dagli avvenimenti dall’epopea risorgimentale, deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini ogni contesto di vita; operare con umiltà e con rettitudine non per noi ma nell’interesse esclusivo del nostro popolo.

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