La via Nomentana

La Via Nomentana (SP 22/a) è un’antica via consolare che da Roma, dopo 34 km, portava a Nomentum (oggi Mentana). Anticamente si chiamava Via Ficulensis perché terminava al villaggio di Ficulea, che sorgeva sulla collina di Marco Simone, alla periferia di Roma, tra i quartieri di Marco Simone e di S.Lucia. La sua costruzione iniziò nel 280 a.C. per opera di Marco Valerio Massimo Potito. Partiva in origine da Porta Collina, sulle Mura Serviane. La zona era nota come il campus sceleratus perché vi venivano sepolti i condannati a morte e le Vestali che non osservavano il voto di castità, come ricordano Plutarco, Fedro e Pomponio Leto. Il complice veniva fustigato a morte, nudo, nel foro. La prima a essere sepolta viva pare sia stata Pinaria, all’epoca di Tarquinio Prisco; poi nel 336 a.C. la stessa sorte toccò alla vestale Minucia. Nel III secolo l’imperatore Aureliano fece costruire la Porta Nomentana nelle Mura Aureliane che da lui prendono nome. La strada doveva essere usata per la transumanza,  infatti sulla volta dell’arco del Ponte Nomentano sono visibili una clava ed una testa bovina, simboli di Ercole, protettore delle greggi, Oggi la via parte da Porta Pia, costruita vicino all’antica porta, tra il 1561 e il 1565, per volere di Papa Pio IV su disegno di Michelangelo Buonarroti. Pare che il Pontefice fosse stato sgarbato nel chiedere a Michelangelo di realizzare una nuova porta tanto che questi adirato gli presentò tre progetti. Il papa scelse quello più economico ma, poiché veniva da una famiglia di cerusici, pare che lo scultore volesse vendicarsi nel decorare la parte superiore della facciata. Infatti, i tre scudi tondi sarebbero i simboli del catino del barbiere, le stole che li circondano sarebbero gli asciugamani e il misterioso cubo dello scudo centrale sarebbe il sapone. Proprio all’inizio della via, di fronte alla Porta, si trova la statua in onore dei bersaglieri della “Breccia di Porta Pia”.

Nel suo percorso urbano la via attraversa i quartieri Nomentano, Salario, Trieste, Monte Sacro e Monte Sacro Alto, Sant’Alessandro e Prato Alto per poi entrare in provincia. Qui tocca Colleverde di Guidonia, Tor Lupara di Fonte Nuova, Mentana e Monterotondo Scalo dove incontra la Salaria.
Percorrere la via Nomentana a Roma significa entrare nel verde di Villa Mirafiori, sede della Facoltà di Filosofia della Sapienza, e di Villa Torlonia col grande parco e la “Casina delle Civette”, piccolo villaggio medioevale simile a un rifugio alpino. Il nome deriva dalla presenza di due civette stilizzate nella vetrata ideata nel 1914 da Duilio Gambellotti. Dall’altro lato della via c’è il grande giardino di Villa Paganini e, proseguendo, si arriva ad uno dei parchi più estesi, quello di Villa Ada. 

Subito dopo Porta Pia, a sinistra si accede alla Via dei Villini dove erano le catacombe di San Nicomede, martire, a cui pare fosse stata eretta anche una basilica. Dei vari ipogei sotterranei, rimane solo quello sotto l’ex convento di Notre Dame des Oiseaux, al n.32 della via. Si tratta di 160 metri di gallerie articolate su due piani che sottopassano la strada con tre cubicoli e si dirigono verso San Giovanni di Saliceto. A sinistra della porta di accesso delle catacombe, la scritta RICOVERO testimonia che in tempo di guerra anche le catacombe servivano come rifugi.

A Villa Torlonia, nei suoi sotterranei, si trovano grandi catacombe ebraiche, scoperte nel 1919 e risalenti al II e III sec. d.C. L’ipogeo, che si estende per un centinaio di metri, è disposto su diversi livelli, corrispondenti a due distinte catacombe, riunite tra loro per mezzo di gallerie. L’interno, tipico dell’architettura tardoromana, presenta una cupola sorretta da dodici coppie di colonne di granito, con capitelli e pulvini di sostegno. All’ingresso dei cubicoli e agli angoli dei vani si trovano colonne scavate nel tufo; le pareti e la volta della cupola sono affrescate con i simboli della religione ebraica.
Al II miglio della via Nomentana sorge il complesso di Sant’Agnese che comprende le catacombe, la basilica costantiniana (IV sec.), il mausoleo di Santa Costanza e la basilica onoriana del VII secolo, cioè l’attuale basilica con il suo monastero.

Le catacombe di Sant’Agnese si trovano sopra un’antica necropoli romana con mausolei e colombari. In un settore di tombe ipogee, furono poi sepolti i primi cristiani e la martire Agnese in prediolo suo, cioè in un terreno di proprietà della sua famiglia. Le catacombe cristiane vennero conservate e divennero luoghi di culto, mentre la necropoli pagana venne distrutta per far posto alla basilica costantiniana. Agnese aveva 12 anni quando fu martirizzata, secondo Papa Damaso con il fuoco, secondo S. Ambrogio con la decapitazione. Questa santa era molto venerata anche dalla famiglia dell’imperatore Costantino; infatti, sua figlia Costantina fece costruire in questo luogo una grandiosa basilica, di cui oggi restano solo alcune murature, e volle essere sepolta vicino alla santa. Il mausoleo, collegato alla navata sinistra della basilica, ha pianta circolare, come nei battisteri paleocristiani, è coperto da una cupola e circondato da un ambulacro a portico con volta a botte. Pare vi fosse sepolta Elena, l’altra figlia dell’imperatore. Papa Onorio I (625- 638) fece costruire fuori le mura la basilica attuale, dedicata a Sant’Agnese, seminterrata a tre navate con nartece e matroneo. Nell’abside è raffigurante la santa tra i papi Onorio e Simmaco, circondati da un mosaico dorato, testimonianza dell’influenza bizantina.

Su una collinetta lungo l’antica via Nomentana, sorge il rudere della “sedia del Diavolo”, cioè la tomba a tempietto di un liberto dell’imperatore Adriano, Elio Calistio, Risale al II secolo. Dopo il crollo della parete d’ingresso e del soffitto, i resti dei tre lati rimasti sono ancora visibili nella Piazza a lui dedicata, nel quartiere Trieste. Il sepolcro è costruito in laterizio a due livelli. La camera sotterranea, ora accessibile da una scala, presenta due aree sepolcrali su ogni parete con cinque nicchie rettangolari o ad arco per le deposizioni dei feretri. Il pavimento è a mosaico, a tessere bianche, la volta è a vela. La camera superiore nella parete di fondo ha un’ampia nicchia collocata dietro un ‘edicola, sorretta da due colonnine, mentre le nicchie delle pareti laterali sono rettangolari e sormontate da un timpano con la calotta a forma di conchiglia. Secondo una leggenda medioevale, il rudere per la sua forma pare servissero al diavolo come sedia. Si diceva che di notte fosse il rifugio di viandanti, mendicanti e prostitute, che vi accendevano fuochi dando al luogo un aspetto sinistro. Si narra di un pastore, Giovanni, che rincorrendo una pecorella giunse alla “sedia”, dove acquistò poteri guaritivi con una polverina ottenuta grattando i mattoni della costruzione ormai in rovina. Pare che in questo luogo si svolgessero i riti delle sette sataniste.

La via passava poi sul Ponte Nomentano, costruito tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C. ai piedi della collina di Monte Sacro sul fiume Aniene, il Teverone, che faceva da confine tra il popolo romane e quello sabino. Distruzioni e restauri si sono succeduti dall’antichità ad oggi. Il ponte è formato da un grande arco di travertino, sormontato da una fortificazione merlata di epoca medioevale, affiancata da due archetti di rampa. In origine aveva una duplice arcata. Vicino si trova un sepolcro che risale al I o II sec. d.C. e che, per le sue dimensioni, è considerato un mausoleo, poi dedicato a Menenio Agrippa, vissuto sei secoli prima. È a pianta circolare su un basamento in opus cementicium, cioè in malta e blocchi di tufo giallo. La camera funeraria ha una volta fatta con frammenti di anfore e quattro nicchie rettangolari, illuminate dalle finestre sovrastanti. Nella zona di Monte Sacro c’erano varie ville di cui rimangono alcuni ruderi e, proseguendo troviamo i resti di un ponte di età repubblicana sopra il fosso di Cecchina- Casal de’ Pazzi; il Parco di Aguzzano e il Torraccio della Cecchina, monumento funebre di epoca antonina, poi trasformato in torre di guardia.

Dopo il raccordo anulare, sulla sinistra sono visibili i resti della strada antica. Al VII miglio sono la Basilica e le catacombe di S.Alessandro, che si estendono su un solo piano e dove furono sepolti Alessandro, Evenzio e Teodulo, martirizzati durante le persecuzioni di Diocleziano. Qui Evanzio e Alessandro vennero sepolti in un unico loculo e Teodulo in un altro. Dopo la libertà di culto per i cristiani, sancita dall’Editto di Costantino (313), il sepolcro dei due martiri fu isolato per costruirvi sopra una basilica. Ai primi del V secolo il vescovo di Nomentum, Urso, fece costruire una grande aula elevata sulla costruzione precedente; l’aula era collegata, tramite un nuovo scalone, all’altare che fu rivestito di lastre marmoree, con due colonne e una mensa in porfido. Poi seguirono le invasioni barbariche con distruzioni e saccheggi. Anche i longobardi depredarono le catacombe per arricchire le loro chiese con le reliquie dei martiri. Così i resti dei tre santi furono trasferiti a Roma, nella basilica di S.Sabina (824-827). I ruderi del complesso di S.Alessandro vennero alla luce durante gli scavi del 1854. L’attuale sito archeologico conserva le catacombe sotterranee, articolate in due nuclei separati su un unico piano, e la basilica con l’altare, la cattedra episcopale, due colonne del ciborio e numerose iscrizioni sepolcrali sul pavimento. Nel catino absidale della basilica c’è un affresco raffigurante il Cristo circondato da apostoli e santi (1560) del pittore Taddeo Zuccari.Nella moderna chiesa parrocchiale di S. Alessandro una ceramica smaltata e l’affresco nell’abside raffigurano l’assassinio del martire secondo la tradizione popolare: percosso a morte e decapitato. Dalla via consolare è poi visibile quello che resta del Torraccio di Capobianco. Era un sepolcro cilindrico in calcestruzzo di epoca augustea che, nel XIII secolo, fu utilizzato per costruirvi una torre di vedetta. È ricordato su un documento del 1402 col nome di Torre Castiglione.  I dintorni di Colleverde di Guidonia, sulla Nomentana, erano abitati in epoca romana: probabilmete si trattava di un sobborgo di Nomentum o Crustumerium. Infatti, a un centinaio di metri prima di Colleverde, è stato ritrovato un ipogeo a due piani: nel primo c’era una specie di magazzino, nel secondo si trovavano le tombe. Il sito archeologico si trova tra i chilometri 15 e 16 della via consolare. Di fronte al sito ci sono le Case Nuove che erano di proprietà del Monastero di San Paolo fuori le Mura, poi dal 1528 passarono al Monastero delle tre Fontane per diventare abitazioni di famiglie nobili ed attualmente sono destinate ad uso civile. Esternamente la costruzione è romanica con un piccolo frontone triangolare su una porta d’ingresso e con un arco a sesto ribassato sul portone di destra.

Di età medioevale è la torre del castello di Tor Lupara di Fonte Nuova, torre che controllava le vie Nomentana e Di Conca. Di origine medioevale, aveva il nome di Torre S,Stefano. A base quadrata, era stata costruita con vari materiali: selce, roccia calcarea, mattoni e tufo, per cui è detta anche la Torre Tricolore. Era provvista di un antemurale e di qualche pozzo per rifornimenti idrici. Per difendersi dai nemici erano state costruite due volte, accessibili con scale retraibili: una volta era tra il pianterreno e il primo piano ed un’altra all’ultimo piano, poi distrutta. Da questa si accedeva ad una terrazza in cima alla torre da cui si lanciavano segnali luminosi in caso di pericolo. Proseguendo si giunge a Mentana. Qui fin dall’età del ferro è documentato un abitato, in località Casali, che dal IV secolo a.C. diventa una città delimitata da mura: Nomentum. Secondo Dionigi d’Alicarnasso era stata fondata dai Latini, poi divenne colonia di Alba Longa. Fece parte dalla Lega Latina contro Roma che la conquistò nel 338 a.C. e fu definitivamente assoggettata nel 290 a.C. quando il console Manlio Curio Dentato sottomise tutta la Sabina. Divenne quindi un municipio, retto da un dittatore romano e venne forse inserita nella tribù Cornelia. La città romana sorgeva sulla collina di Montedoro, alla cui base scorreva la via , e qui nel Romitorio di Casali ci sono i resti di mura difensive in tufo, risalenti al IV secolo a.C. Era un notevole centro e per la produzione di vino e per la presenza della stazione termale di Grotta Marozza, le Aquae Labanae.  Nel 408 Nomentum divenne sede episcopale, poi aggregata alla diocesi di Curi nel 593. Dopo l’occupazione longobarda (741) la città venne abbandonata e l’abitato venne spostato in un luogo più difendibile, distante dalla Nomentana, circa dove oggi si trova Mentana. In età medioevale e rinascimentale passò a varie famiglie nobili, fu distrutta dai Normanni nel 1058, subì un terremoto nel 1484. Fece parte della Repubblica Romana Napoleonica nel 1798, fu teatro nel 1867 della battaglia che vide i Garibaldini sconfitti dalle truppe pontificie e francesi. Nel sito archeologico di Grotta Marozza si trovano cisterne e condutture sotterranee per le terme sulfuree di età romana. Qui avevano le loro ville Seneca e Marziale. Tra i resti di un antico insediamento feudale, di circa 400 abitanti, con una parrocchia e due chiese, abbandonato verso la fine del XIV secolo, troviamo il rudere di un castello in pietra su una collina che dominava la via Nomentana, conosciuto come “il Castellaccio”.

In località Tor Mancina, all’interno della Riserva Naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco, si trova l’area archeologica della via Nomentum-Eretum. Qui è visibile un tratto della via Nomentana, pavimentata in basoli di calcare, che doveva proseguire verso nord. Ai lati della strada, tra il I sec.a.C./I sec. d.C. e il II/III sec. d.C., si trovano diverse sepolture, molto diverse per rito funerario, dimensioni, materiali e status dei defunti. Ci sono, infatti, sepolture povere, forse di schiavi; semplici fosse di terra e sepolcri più imponenti per personaggi di un certo rango che dovevano abitare le villae rusticae, di cui il territorio era costellato.

Si arriva infine a Monterotondo, secondo alcuni l’antica città sabina di Eretum, di cui però non sono ancora state ritrovate tracce. Secondo Strabone, Plinio e Tito Livio essa si trovava all’incrocio della Nomentana con la Salaria. Virgilio nell’Eneide la ricorda tra le città in armi contro Enea e gli antichi storici narrano che nei pressi di Eretum si svolsero battaglie in età monarchica e anche durante la repubblica. Tito Livio racconta che qui passò Annibale durante la sua spedizione verso Roma. Importante baluardo per la difesa di Roma, la città si sviluppò in età medioevale e venne citata per la prima volta in una bolla papale dell’XI secolo che faceva riferimento ad un possedimento dei monaci di San Paolo: un Campum Rotundum, vicino a Grotta Marozza, chiamato Monte Ereto, quindi Mons Teres, volgarizzato in Monte Ritondo dal 1300.  Era allora degli Orsini che vi mantennero il potere fino al XVII secolo, coinvolgendo la città nelle vicende romane e italiane, terribili sotto il papato di Innocenzo VIII e di Alessandro VI Borgia. Quest’ultimo per danneggiare gli Orsini fece avvelenare il cardinale Battista Orsini di Monterotondo ed impose nel 1503 la distruzione delle mura cittadine. Nel 1468 Clarice Orsini sposò Lorenzo il Magnifico assicurando alla città un periodo glorioso. Nel 1626 il feudo passo ai Barberini e divenne Ducato, la città fu cinta di mura, accessibile da tre porte, fu costruito il Duomo e restaurato il palazzo signorile. Nel 1701 subentrarono i Grillo di Genova che costruirono sul Tevere il Ponte del Grillo. Seguirono anni tranquilli fino all’assedio dell’esercito napoleonico, durato pochi giorni. Poi il paese passò al Principe di Piombino. Nel 1815 la città fu più volte occupata dagli eserciti di Gioacchino Murat, nel 1821 subì il passaggio delle truppe austriache e, finalmente, nel 1845 la visita di Papa Gregorio XVI regalò alla città momenti di gloria quando consegnò le chiavi d’oro del Comune al Papa. Monterotondo divenne una delle maggiori città della Sabina tanto da venire ricordata come “la Parigi della Sabina”. Nel 1867 Garibaldi con i suoi vi entrò bruciando Porta Romana, ora Porta Garibaldi. Pasquale Baiocchi, che aveva una fabbrica di fuochi artificiali in Città Sant’Angelo, aveva preparato a questo fine un carretto pieno di zolfo e materiale incendiario. Dopo l’armistizio della II Guerra Mondiale, i tedeschi tentarono di conquistare il Palazzo Orsini- Barberini che era diventato la sede dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano. La difesero strenuamente soldati, carabinieri, cittadini e molti di loro furono decorati per i loro atti eroici. Il 9 giugno 1978 tutta la città è stata decorata al valore militare per la guerra di liberazione, insignita della medaglia d’argento.

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http://www.guida-romarche.it/strade-antiche/via-nomentana/

Articolo scritto da Maria Luisa Berti

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