LA VIA TIBURTINA VALERIA

La consolare Via Tiburtina Valeria (SS n.5) collega Roma a Pescara e, inizialmente, portava a Tibur, Tivoli, di antichissima origine (1215 a.C.). Era un’antica via di transumanza nel territorio degli Equi. Fu poi pavimentata dal console Marco Valerio Potito nel 286 a.C. e allungata fino a Corfinium, nel territorio dei Peligni, per cui la consolare è tuttora conosciuta come Tiburtina- Valeria. In seguito, l’imperatore Claudio allungò il percorso, attraverso le gole di Bussi sul fiume Tirino, fino ad Ostia Aterni, che in età imperiale indicava la foce del fiume Aterno, presso cui sorgeva un villaggio che i Romani, al loro arrivo, chiamarono Vicus Aterni, poi divenne Aternum, odierna Pescara. Quest’ultimo tratto della consolare prese il nome di via Claudia Valeria. Nello stesso periodo fu costruita una nuova strada che collegava Corfinium con Amiternum, vicino all’Aquila: la via Claudia Nova. Nel periodo della repubblica e dell’impero la Via Tiburtina era usata per il trasporto dei prodotti agricoli e del travertino ed era frequentata da molti pellegrini diretti ai santuari intorno e a Tivoli.

La Tiburtina usciva dalla Porta Esquilina, sulle mura serviane. In seguito, costruite le mura aureliane, passava dalla Porta Tiburtina, che era un arco di trionfo in travertino eretto da Augusto e che ora, all’interno della porta, è più basso rispetto al piano stradale. L’attico è attraversato da tre acquedotti: Aquae Marcia, Tepula e Iulia. In corrispondenza di quest’ultimo un’iscrizione testimonia che fu l’imperatore Augusto a far rifare le condutture di tutti gli acquedotti. L’imperatore Onorio, agli inizi del V secolo, fece restaurare le mura e costruire una struttura, esterna a quella augustea, con un arco su cui furono aperte cinque finestre. A partire dall’VIII secolo la porta fu chiamata Porta San Lorenzo perché si apriva verso la Chiesa di San Lorenzo fuori le mura. Fu chiamata anche Porta Taurina per i tori che ornano l’arco di Augusto.

Fig.2) La Porta Tiburtina, sulle Mura Aureliane, da cui usciva la via consolare Tiburtina, o Tiburtina Valeria, che congiungeva Roma a Pescara.

La Tiburtina passava poi l’Aniene sul Pons Mammeus, il ponte Mammolo, che dà nome a un moderno quartiere di Roma e i cui ruderi sono visibili al IV miglio, solo nei periodi di magra del fiume. L’etimologia del ponte farebbe riferimento al restauro voluto da Giulia Mannea, madre (o moglie) dell’imperatore Settimio Severo, oppure deriverebbe da marmoreus perché la costruzione era ricoperta di travertino. Il ponte nel Medioevo era difeso da torri ma fu fatto saltare dai francesi durante l’assedio della Repubblica Romana nel 1849. Fu poi ricostruito. La consolare attraversava quindi la campagna e passava di nuovo sull’Aniene al Ponte Lucano, nei pressi di Villa Adriana, che aveva 5 arcate, due delle quali ormai interrate. Poco a valle c’era il porto dove veniva imbarcato il travertino destinato a Roma e proveniente dalle cave vicine, in particolare da quella del Barco presso Tivoli. La costruzione di questo ponte è stata attribuita a Marco Plautio Lucano (duumviro con Tiberio Claudio Nerone -14-37 d.c.). Vicino fu costruito il Mausoleo dei Plautii, eretto in onore del console Plautus Silvanus, nel I sec. d.C. e che divenne una torre difensiva in epoca medioevale.

Fig.3) La Consolare Tiburtina Valeria passava sull’Aniene al Ponte Lucano, nei pressi di Villa Adriana. Sullo sfondo si vede il Mausoleo dei Plautii.

Al miglio VIII, a metà strada tra Roma e Tivoli si trova l’Area archeologica di Settecamini, dove è visibile un tratto della via consolare. Lungo il lato meridionale nel 1951 sono stati scoperti ruderi di vari edifici. La costruzione meglio conservata è la Taberna, con un pavimento a mosaico di età imperiale, che fu in funzione fino al V sec. d.C. e che doveva essere una stazione di posta. Vi potevano trovare riposo i pellegrini diretti verso i santuari della zona. Al IX miglio, infatti, era meta di pellegrinaggi fino all’VIII secolo una basilica paleocristiana sorta accanto a una basilichetta del II-IV secolo con la tomba della martire Sinforosa, uccisa all’epoca di Adriano, insieme ai suoi sette figli. La basilica aveva cortile ed orti dove venivano accolti i fedeli. Al km 22,5 si trovano le terme delle Aquae Albulae, che scaturivano da due laghetti vulcanici, Regina e Colonnelle, dalla temperatura di 25 gradi. Esse erano molto apprezzate in epoca imperiale dal medico Galeno, da Strabone e da Plinio il Vecchio. Svetonio riferisce che il vecchio Augusto, sofferente di gotta, usufruiva dei suoi bagni salutari. Secondo Orazio nella zona attorno a Tivoli non esistevano più aree coltivabili a causa dei tanti parchi e delle numerose ville qui costruite.

 Tivoli sorge alle pendici dei Monti Tiburtini e ha origini più antiche di Roma. Virgilio nel libro VII dell’Eneide la ricorda come Tibur Superbum. Secondo Dionigi d’Alicarnasso sarebbe stata fondata dagli Aborigeni in seguito ad una migrazione durante una primavera sacra. Fu poi fortificata sulla riva sinistra dell’Aniene dai Siculi, che furono sconfitti da coloni greci guidati da Tiburto, insieme ai fratelli Catillo e Cora. Tiburto diede nome alla città e fondò l’acropoli che sorgeva su un colle inaccessibile. Da qui si dominava la gola di Villa Gregoriana e il guado su cui passavano le greggi per la transumanza dall’Agro Romano all’Abruzzo. Tivoli era un centro di scambi per le popolazioni della zona, soprattutto Latini e Sanniti, come testimonia il santuario dedicato ad Ercole Vincitore, protettore dei commerci, santuario restaurato nel 2011. Nel IV secolo, come alleata della Lega Latina, combatté invano contro Roma, poi durante le guerre puniche fu un importante punto di rifornimento per l’esercito romano. Neutrale durante le guerre civili, fu dichiarata municipio nel I sec. a.C. per poi diventare, in età imperiale, un grande centro commerciale e residenziale, che diede impulso alla costruzione di tante ville per ricchi e notabili romani, tra cui quella dell’imperatore Adriano, riconosciuta Patrimonio dell’Unesco nel 1999. Qui trascorse gli ultimi giorni Zenobia, la regina guerriera di Palmira, che osò sfidare Roma e, sconfitta nel 274 dall’imperatore Aureliano, fu lì rinchiusa fino alla morte. Dopo l’anarchia militare, la decadenza e la caduta dell’impero, nell’Alto Medioevo la popolazione abbandonò ville e campagne per rifugiarsi all’interno delle mura di Tivoli, allora governata da un duca. La città appoggiò poi Federico Barbarossa che fortificò le mura e fece inserire l’aquila imperiale nello stemma della città. Fu sede vescovile e coinvolta nelle contese feudali e nelle lotte tra guelfi e ghibellini, tra i Colonna e gli Orsini finché nel 1461 Papa Pio II assoggettò la città allo Stato della Chiesa e fece costruire la Rocca Pia per controllare l’accesso alla città ed eventuali rivolte popolari. La rocca è un imponente fortezza a pianta quadrilatera, con torrioni cilindrici merlati, che si eleva imponente nel centro della città, vicino a Porta Garibaldi. Nell’Ottocento fu utilizzata come carcere fino al 1960. Nel 1550 fu eletto governatore di Tivoli il cardinale Ippolito d’Este che qui fece costruire una grande villa per la sua famiglia, appunto Villa d’Este che l’UNESCO ha riconosciuto Patrimonio dell’Umanità nel 2002. Tivoli seguì le sorti del Papato fino alla liberazione di Roma per poi far parte del Regno d’Italia.


Fig. 4) L’antica acropoli di Tivoli, nota come Castrovenere, sorgeva sullo sperone roccioso di un colle inaccessibile, circondato da un fossato. Da qui si dominava la gola di Villa Gregoriana e il guado su cui passavano le greggi per la transumanza dall’Agro Romano all’Abruzzo. Conserva il tempio di Vesta, centro della vita quotidiana dei romani, e quello della Sibilla, al cui interno erano conservati i resti di Alburnea, la Sibilla Tiburtina. 

         Castrovenere è tuttora il nome dell’antica acropoli di Tivoli che sorgeva sullo sperone roccioso di un colle inaccessibile, circondato da un fossato. Qui si possono visitare i resti del tempio di Vesta, centro della vita cittadina romana, e di quello della Sibilla. Il tempio di Vesta, a pianta circolare, costruito su un alto podio di blocchi di travertino, era circondato da un porticato di 18 colonne corinzie, anch’esse in travertino, di cui ne restano solo 10. Aveva un soffitto a cassettoni su cui si presume fosse stato costruito un tetto conico. Costruito da Lucio Gellio alla fine del I sec. a.C., nel medioevo divenne la Chiesa di Santa Maria Rotonda, per poi subire saccheggi e distruzioni finchè il tempio fu riscoperto e studiato da artisti del Rinascimento (Sebastiano Serlio, Andrea Palladio, Giovanni Battista Piranesi) che lo vollero immortalare nelle loro opere. Il Tempio della Sibilla è un tempio rettangolare, in travertino, formato da quattro colonne davanti ad altre colonne addossate alle pareti; risale al II sec.a.C. e al suo interno erano conservati i resti di Alburnea, la Sibilla Tiburtina, come ricorda la lapide dell’atrio. Tanti sono i monumenti e i resti archeologici di Tivoli: chiese, ville, templi, sepolcri… sono tanti e importanti dal punto di vista storico ed artistico. Tra questi l’antico anfiteatro di Tivoli, conosciuto anche come Anfiteatro di Bleso, perché costui contribuì alla realizzazione dell’opera con un contributo di denaro e con 200 giorni lavorativi da lui pagati. Risale al II secolo dell’età imperiale e poteva accogliere 2.000 spettatori. Secondo alcuni studiosi e ricercatori, qui vicino doveva trovarsi anche una schola gladiatorum, di cui però ancora non sono state ritrovate tracce. Scoperto nel 1948 nei pressi di Piazza Garibaldi, si possono ammirare solamente alcuni resti perché Papa Pio II lo fece distruggere per la costruzione di Porta Pia.

         Il Santuario di Ercole Vincitore, il più grande dei santuari laziali a terrazze (m.186 x140), fu edificato tra il II sec. a. C. e l’età augustea. Occupava un’area di 3.000 mq e comprendeva tre ambienti: un tempio, un teatro ed un’enorme piazza che faceva da area sacra, e che si innalzava per 50 metri sull’Aniene. Fu costruito su un guado del fiume in modo da convogliare in questo luogo tutti coloro che provenivano dall’Abruzzo e numerosi fedeli. Chi vi giungeva lasciava le sue offerte nei vari Thesaurus, piloncini in calcare. Era dedicato a Ercole Vincitore, che aveva consentito ai Tiburtini di sconfiggere i Volsci ed era il protettore dei commerci, della transumanza, del mercato dei buoi e del sale: il suo santuario divenne una grande potenza religiosa ed economica. È accessibile tramite una galleria della via Triburtina, la via tecta, dove a sinistra erano le tabernae per le merci e il bestiame e a destra tra grandi archi si poteva ammirare il corso dell’Aniene. Superata la galleria, a sinistra sorgeva il teatro da cui si saliva verso il tempio. Il teatro contava 3.600 posti e davanti alla scena è stata trovata e restaurata una vasca, con un intonaco azzurro alle pareti, che probabilmente raccoglieva piante e pesci. Qui si poteva assistere alle rappresentazioni delle imprese di Ercole. Alla destra della gradinata dovevano esserci due fontane monumentali con una cascata e delle vasche circolari. Sotto i portici del santuario l’imperatore Augusto in varie occasioni amministrò la giustizia, secondo quanto racconta Svetonio. Tante erano le ville che i notabili romani si fecero costruire a Tivoli, tra queste quella di Manlio Volpisco di cui si hanno pochi resti, e quelle di Mecenate, di Quintilio Varo, di Orazio, della famiglia Plauzia, Villa Adriana e, di epoca rinascimentale, Villa d’Este.

Fig.5) La mappa di Villa Adriana. Si riconosce il Pecile, circondato da un alto muro, con un quadriportico, al cui interno si trovavano un giardino e una piscina. Da qui si potevano raggiungere gli impianti termali e la piscina con il Canopo.
 

 Villa Adriana comprende le rovine e i resti archeologici di un grande complesso di ville e di edifici, fatti costruire dall’imperatore romano Adriano tra il 117 e il 138, a pochi chilometri da Tibur, sulla destra della via Tiburtina, dopo il ponte Lucano. Era un territorio ricco di acque che si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli, o Roccabruna, e dell’Acqua Ferrata che confluivano insieme nell’Aniene. Vi passavano quattro degli acquedotti che fornivano Roma e nei pressi sorgeva la sorgente termale delle Aquae Albulae. Nella zona c’erano cave di travertino, tufo e calcare. Il primo nucleo della villa risale all’età repubblica: si trattava di una delle ville rustiche del periodo sillano, ingrandita all’epoca di Giulio Cesare, poi divenuta proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, di nobile stirpe. Adriano aveva una visione assolutista del potere imperiale e, per essere lontano dai suoi sudditi, fece erigere un’imponente villa che divenne sua residenza personale e da cui svolgeva le funzioni legate alla sua carica. Della sua residenza restano delle colonne e dei ruderi. L’area in cui sorge si estende per circa 300 ettari e Adriano voleva qui riprodurre i luoghi e i monumenti che più gli erano piaciuti durante i suoi viaggi nelle province, dalla Grecia all’Egitto. Gli edifici della villa però presentano le caratteristiche innovative dell’architettura romana del tempo. Una delle strutture più interessanti per un visitatore è il Pecile, grande piazza di forma quadrangolare, innalzata su poderose costruzioni artificiali e circondata da un quadriportico, di cui rimane il muro settentrionale, alto 9 metri. Il nome trae origine dalla Stoà Poikile di Atene, che custodiva le opere dei maggiori pittori greci e che era molto apprezzata da Adriano.  Sulla piazza si affacciavano gli alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio. All’interno si trova una piscina circondata da un giardino dove era d’uso passeggiare dopo pranzo. Dal Pecile si potevano raggiungere gli impianti termali e il Canopo. Il nome fa riferimento alla città egiziana di Canopo che, attraverso un ramo del delta del Nilo, si congiungeva ad Alessandria. Adriano nel 132 d.C. era stato in Egitto dove era morto Antinoo, il suo favorito. Da lì aveva riportato oggetti vari e statue e pare avesse voluto riprodurre quel ramo del delta nella piscina canale del Canopo. Fu l’architetto Pirro Ligorio, che nel XVI sec. scavò nel sito su commissione d’Ippolito d’Este, a chiamare la lunga vasca come il canale che collegava la città di Canopo ad Alessandria. In realtà studi recenti fanno risalire la costruzione di questa struttura prima del 130 d.C. La piscina era circondata da un elegante colonnato con copie di statue greche, rivolte verso l’acqua.  L’esedra alla fine della vasca era riservata ai banchetti e conteneva il triclinio imperiale.

Fig. 6) L’esedra del Canopo di Villa Adriana dove si tenevano i banchetti imperiali.
 


L’uso della villa come residenza imperiale continuò fino al periodo dell’anarchia militare poi finì in stato d’abbandono fino a diventare terreno agricolo in epoca medioevale. Dalla metà del Quattrocento l’interesse di umanisti, mecenati, papi e cardinali portò alla riscoperta dei tesori della villa. Gli scavi di quegli anni servirono soprattutto a depredare statue e marmi, come fece Ippolito d’Este che incaricò Pirro Lagorio di prelevare materiali per le sue due ville a Tivoli e a Roma. Al Lagorio si deve la prima rilevazione storica della villa, datata intorno al 1560. Nei secoli successivi si moltiplicarono gli scavi ad opera di privati finché nel 1870 il luogo fu acquistato dallo Stato che continuò gli scavi e i restauri, tuttora non completati.

         Villa d’Este, eccellenza del nostro Rinascimento, fu fatta costruire dal cardinale Ippolito d’Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia, quando nel 1550 fu nominato governatore di Tivoli da Papa Giulio II. Gli era stata assegnata come residenza il convento della Chiesa di Santa Maria Maggiore ma, abituato a ben altri fasti, decise di trasformare il convento in una villa ed affidò i lavori all’architetto Pirro Ligorio. La costruzione richiese tempi lunghi anche per le vicissitudini del cardinale e fu finalmente inaugurata nel settembre del 1572 alla presenza di papa Gregorio XIII che fu accolto dalle straordinarie melodie della Fontana dell’Organo, uno dei primi organi ad acqua meccanizzato. Il papa, incredulo, volle di persona verificare che all’interno della fontana non ci fosse qualche suonatore. Il 2 dicembre di quell’anno il cardinale moriva.

La villa ha una struttura a terrazze simile alle antiche ville romane. Il giardino della villa, ideato dal Lagorio, è all’italiana con siepi e arbusti, che formano labirinti e figure geometriche, ed è caratterizzato da numerose fontane e giochi d’acqua francesizzanti, alimentati dal Canale Estense derivato dall’Aniene. Tramite il Vialone delimitato dalla Gran Loggia e dalla Fontana d’Europa si giunge al palazzo dall’elegante facciata. Una scalinata porta poi al salone da cui si accede agli appartamenti nobili. La costruzione si articola su tre piani con ambienti di grande interesse come la sala delle Storie di Salomone e l’Appartamento inferiore con l’affresco di Ercole Sassano. Il Salone della Fontana, che accoglieva gli ospiti e serviva come triclinio estivo, era affrescato in tutto il soffitto a volta e lungo le pareti in un immaginario loggiato. Sotto si trova un meraviglioso ninfeo che custodiva la Fontana di Leda, conservata oggi alla Galleria Borghese di Roma.

Fig.7) La Fontana del Nettuno è la più imponente e scenografica della villa, per la grande quantità di acqua e i potenti zampilli che proiettano in aria alti schizzi.
Realizzata nel 1927 da Attilio Rossi e dall’ingegnere Emo Salvati, restaurando la precedente cascata del Bernini. Villa d’Este con le sue numerose fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e opere idrauliche tipiche delle antiche ville romane, costituì il modello dei giardini europei del manierismo e del barocco.
 

         Dopo Tivoli, la via Tiburtina attraversava l’Appennino e toccava Varia, oggi Vicovaro, fondata dagli Equi e conquistata nel 304 a.C dai Romani, che la fortificarono con una cinta muraria ancora visibile presso la Porta di Sotto e lungo la consolare. Fu un importante centro difensivo in età repubblicana e anche durante l’impero: nel suo territorio, infatti, sono presenti vari insediamenti difensivi.

         La consolare proseguiva quindi verso Carsioli nella zona di Civita di Oricola, da cui inizia il tratto abruzzese attraverso i valichi di Colle di Monte e Forca Caruso, poi dalla Piana del Cavaliere si entra nella Marsica. Carsioli, di cui restano pochi reperti, tra cui la cinta muraria, fu fondata dagli Equi nel 298 a.C., poi fu conquistata dai Romani. Il dittatore Marco Valerio Massimo, vi inviò una colonia di circa 4.000 persone che cominciarono la costruzione della via Valeria. Nelle aree archeologiche nella piazza di Civita e nella contrada Valle San Petro sono stati rinvenuti vari reperti, tra cui un intero santuario e resti di un teatro e di un anfiteatro.

Fig.8) L’anfiteatro romano di Alba Fucens, costruito con il lascito testamentario di Nevio Sutorio Macrone, che coprì importanti cariche durante il governo di Tiberio e di Caligola e che si suicidò per impedire che Caligola requisisse tutti i suoi beni.

         Anche la vicina Alba Fucens, Alba sul Fucino, sortasu una collina del Velino a nord della consolare Valeria, divenne colonia romana nel 304 a.C., popolata da 6.000 coloni che costruirono una prima cinta muraria per difendersi dagli Equi, contrari ad un insediamento romano nel loro territorio. La città raggiunse la sua massima espansione in età imperiale. Il suo sito archeologico conserva gran parte della cinta muraria, che era lunga 2,9 chilometri.  Sono rimasti una torre e due bastioni a difesa delle porte d’accesso, su uno dei quali sono raffigurati simboli fallici. Davanti alle mura era stata costruita nel tempo una triplice linea di difesa. L’antica città romana, a pianta quadrangolare con strade tra loro parallele e perpendicolari tipiche dell’antico castrum, conserva il Forum, la Basilica, i Templi di Ercole e di Apollo, il teatro e l’anfiteatro, costruito per volere di Nevio Sutorio Macrone che coprì importanti cariche durante il governo di Tiberio e di Caligola e che, nel suo testamento, dispose che i suoi beni dovessero servire per la costruzione di un anfiteatro nella sua città natale. Questo fu costruito su uno scavo della roccia del colle di San Pietro con materiali recuperati da varie domus.

         Il Tracciato della Tiburtina Valeria costeggiava poi le rive settentrionali del Lago Fucino, passava per Cerfennia, Collarmele, e saliva verso il Passo di Forca Caruso da cui si accedeva alla conca Peligna dove era l’antica città di Corfinium, capitale dei Peligni e degli alleati italici durante la guerra sociale (91/88 a.C.) contro Roma che non voleva concedere loro la cittadinanza romana. In quel periodo la città si chiamava
Italica, si amministrava autonomamente e aveva una propria moneta, sulla cui faccia principale era incisa la scritta “Italia” accanto ad una figura femminile con in testa una corona d’alloro. Le antiche fonti testimoniano per questa città l’uso di ambedue i nomi: Corfinium e Italia. In epoca romana Corfinium crebbe economicamente in quanto, come Sulmona si trovava in una posizione strategica sulla via Tiburtina Valeria. Con l’arrivo della guerra greco- gotica cominciò la sua decadenza finchè divenne un centro medioevale. Dalla fine dell’Ottocento cominciarono le campagne di scavi che hanno riscoperto i resti romani conservati nel Parco Archeologico intitolato a Nicola Colella, il maggiore studioso di questa antica città. Il Parco è caratterizzato da tre zone: il Piano San Giacomo, l’area dei due templi e quella de Santuario di Sant’Ippolito. Il Piano di San Giacomo ha portato alla luce la città imperiale con le strade dai marciapiedi in ghiaia, resti di vari edifici, tra cui una domus decorata con mosaici policromi. La seconda area conserva soprattutto i resti di un tempio del I sec. a.C.  e di una necropoli.

L’area del santuario contiene i ruderi di edifici tra il IV e il I sec. a.C. a testimonianza di antichi culti ed era nota in epoca medioevale per una fonte di acque terapeutiche.
         Dopo Corfino la Tiburtina Valeria attraversa la Valle Peligna con il Santuario di Ercole Curino, di cui rimangono i basamenti e che fu ampliato dopo la guerra sociale diventando un santuario terrazzato come quello di Tivoli. Il Santuario nonostante la sua parte superiore venisse distrutta da una frana continuò ad essere frequentato dai fedeli per l’inserimento di una chiesa cristiana.
Poco lontano, verso Sulmona, sorge l’Eremo di Sant’Onofrio, sito sulle pendici del monte Morrone e costruito nel XIII secolo. Qui visse Pietro Angelerio, divenuto Papa Celestino V nel 1294.

Fig.9) L’Eremo di Sant’Onofrio, sul Monte Morrone, verso Sulmona. Qui visse Pietro Angelerio, divenuto Papa Celestino V nel 1294.
Fig.10) Ostia Aterni nella Tabula Peutigeriana, Realizzata nel IV secolo, durante il periodo di massima espansione dell’Impero Romano, la carta riporta strade, distanze, stazioni di posta e città. Il nome deriva da Konrad Peutinger, antiquario tedesco che ne era il proprietario.


La consolare prosegue verso le gole di Popoli, anticamente controllate dal Pagus Fabianus, antico villaggio di capanne risalente all’VIII sec. a.C., il cui centro storico conserva notevoli caratteristiche medioevali.
         Dopo Popoli si entrava nel territorio degli antichi Marruccini e la loro principale città era Teate, ora Chieti, le cui origini si perdono nella leggenda. Il nome deriverebbe, infatti, dalla dea Teti a cui Achille l’avrebbe dedicata. Pare che la città fosse una colonia dei Pelasgi, giunti lì dopo la distruzione di Troia, nel maggio 1181 a.C., e il guerriero armato su cavallo, simbolo della città, sarebbe Achille oppure Ercole. Divenuta municipio romano nel 91 a.C, la città assunse le caratteristiche urbane romane con il reticolato attorno al cardo e al decumano massimi. La massima espansione avvenne in età imperiale e con l’imperatore Claudio.  Il nucleo originario, nell’attuale Civitella, si era esteso attorno a tre templi, tra cui uno dedicato ad Ercole. Lo spazio urbano si sviluppava su terrazze: dal foro si saliva verso l’acropoli, la Civitella, con l’anfiteatro costruito da Augusto sopra i precedenti templi; il teatro e, fuori dall’abitato, le terme. Sono visibili nel sito archeologico di Chieti.
         Infine la via Tiburtina Valeria raggiunge Aternum, od Ostia Aterni (attuale Pescara), un antico insediamento pelasgico alle foci del fiume Aterno, occupato in seguito dagli italici Vestini, che vi costruirono un porto utilizzato anche dai Marrucini e dai Peligni, punto d’imbarco per la Dalmazia. L’ostilità di questi popoli contro l’espansione romana portò a una guerra che però li vide sconfitti. La città romana si arricchì di importanti edifici pubblici e privati, grazie alla presenza del porto;  di templi, tra cui quello dedicato a Giove, e di una necropoli nella zona del Campo Rampigna, che fa parte del sito archeologico di Pescara, Alcuni reperti ritrovati in questa zona e in altri luoghi testimoniano l’esistenza del culto della dea Iside. Anche la dea Vittoria era venerata in età imperiale tanto che pare ci fosse un’ara a lei dedicata nell’edificio sacro dei primi del IV secolo su cui sorgerà il tempio della Santa Gerusalemme. La città crebbe d’importanza dopo che l’imperatore Diocleziano fece costruire il suo palazzo a Salona, l’odierna Spalato. Nonostante questo Aterni non divenne mai un municipio romano. Quasi distrutta dai barbari, la città risorse nell’Alto Medioevo col nome di Piscaria

Articolo di Maria Luisa Berti

Le informazioni sono state tratte dal Web e in particolare da:
https://www.romanoimpero.com
https://it.wikipedia.org/
https://www.treccani.it/enciclopedia/
https://italiastoria.com/2021/06/29/le-strade-dellitalia-antica-la-tiburtina-valeria/

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