Battaglia di Monterotondo 1943: un libro fa luce sulla verità storica

Monterotondo

Monterotondo, prima mattina del 9 settembre 1943. A poche ore dalla firma dell’armistizio di Cassibile, una formazione di 650 uomini del II battaglione della 2-Fallschirmjäger Division (un’unità d’élite della Luftwaffe) si lancia sul territorio eretino.

Sulle vicende di quei giorni, fittissime e non sempre chiare, è stata condotta una puntuale ed appassionata ricerca storica da Guido Ronconi, che ha poi trattato gli esiti del suo studio in un libro intitolato Sprungeinsatz Monterotondo. 9-10 settembre 1943. Accedendo agli archivi storici italiani e tedeschi, Ronconi ha potuto ricostruire una versione dei fatti aderente alla realtà storica. Ciò che emerge nel libro è interessante non solo per il suo valore storico, ma soprattutto perché si pone in contraddizione con la narrazione che di quei giorni ha sempre offerto l’ANPI.

Monterotondo

I pregressi dell’attacco

Poco dopo l’alba, i paracadutisti tedeschi si lanciarono su Monterotondo. Atterrando sia a nord (nei pressi di Monterotondo Scalo, del Ponte del Grillo e Tor Mancina) che a sud, cinsero d’assedio la cittadina col preciso obiettivo prendere Palazzo Orsini. Ma perché i soldati tedeschi volevano quella che, nel Rinascimento, fu la residenza di Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico? Per capirlo è necessario tornare indietro di qualche mese.

In seguito alla dichiarazione di Roma come città aperta (dichiarazione unilaterale e mai ratificata dai tedeschi), nei mesi di maggio e giugno del 1943 gli uffici dello Stato Maggiore del Regio Esercito italiano (SMRE) furono trasferiti da Roma nelle sedi di campagna fuori città. La località prescelta fu Monterotondo, dove gli organi principali dello SMRE furono ospitati proprio all’interno del palazzo. La cittadella, allora poco più estesa dell’originario nucleo medievale, fu dotata di artiglieria e armi contraeree, nonché di un contingente di 2.000 uomini.

I comandi tedeschi, che già prevedevano l’uscita dell’Italia dall’Asse, misero ben presto gli occhi su Monterotondo e pianificarono l’attacco allo SMRE già a fine luglio. Pertanto, alla dichiarazione dell’armistizio, i nazisti non tardarono ad attuare il piano. La mattina del 9 settembre 1943 il maggiore Walter Gericke ebbe il via libera per l’avvio dell’operazione.

La battaglia di Monterotondo

Come accaduto 76 anni prima in pieno Risorgimento, anche il 9 settembre 1943 Monterotondo fu teatro di una cruenta battaglia. I combattimenti con i difensori italiani furono più intensi del previsto e alla fine della giornata il battaglione di Gericke aveva subito perdite pari al 20% degli effettivi, con 54 caduti e oltre 70 feriti. Da parte italiana, invece, caddero 122 soldati.

I paracadutisti – scrive Ronconi – riuscirono a conquistare Palazzo Orsini nonostante la prolungata resistenza dei carabinieri addetti alla sua difesa. Tuttavia il successo fu solo parziale: Badoglio e Vittorio Emanuele III erano già in viaggio per Brindisi.

Nel frattempo i tedeschi furono costretti sulla difensiva da un contrattacco a tenaglia, da Monterotondo Scalo e da Mentana, effettuato dalla Divisione Motorizzata “Piave”. Il contingente si salvò dall’annientamento solamente grazie all’evoluzione positiva dei contemporanei combattimenti a Roma.

Monterotondo
Come appariva Palazzo Orsini ai paracadutisti tedeschi il 9 settembre 1943. La fotografia è una delle 250 (di cui 150 inedite) contenute nel libro di Ronconi.

Le contraddizioni con la versione dell’ANPI

La ricostruzione di Ronconi, forte dei numeri degli archivi storici, si pone in aperta contraddizione con la narrazione che l’ANPI ha offerto ai monterotondesi e agli italiani per 80 anni. Quello della “partecipazione massiccia di civili ai combattimenti contro i paracadutisti tedeschi, al fine di spacciare la favola dell’insurrezione popolare spontanea contro l’invasore nazista” non è nient’altro che un mito, un falso storico.

Scrive Ronconi: “In nessuno dei documenti da me consultati, provenienti dall’Ufficio Storico dell’Esercito, dall’Ufficio Storico dei Carabinieri, dall’archivio comunale di Monterotondo e dal Militärarchiv di Friburgo (archivio esercito tedesco), quindi sia da parte italiana sia da parte tedesca, viene menzionato l’intervento di civili, tranne quello di due ragazzi, di cui uno solo noto per nome, Dario Ortenzi, decorato di medaglia d’argento al valore militare.

Basterebbe la logica – prosegue Ronconi – a smentire la teoria della partecipazione dei civili: all’epoca Monterotondo aveva circa 7500 abitanti, se qualcuno avesse effettivamente partecipato ai combattimenti si sarebbe saputo, visto che tutti più o meno all’epoca si conoscevano, e sarebbe stato, giustamente, onorato negli anni a venire, come effettivamente avvenuto con Ortenzi. Invece si è sempre parlato genericamente di civili, senza mai citarne i nomi e cognomi, e questo solo fatto dovrebbe bastare a smentire questa balla resistenziale“.

“La Battaglia di Monterotondo non fu l’inizio della Resistenza”

Non solo non ci fu una larga partecipazione di civili ai combattimenti, ma la Battaglia di Monterotondo – afferma Ronconi – non fu neanche l’occasione in cui prese forma una proto-Resistenza. Chi si oppose ai tedeschi lo fece perché gli ordini erano quelli di difendere Palazzo Orsini, qualunque fosse stata la bandiera dell’aggressore. Allo stesso modo, non si può parlare di prima sconfitta dell’invasore. I paracadutisti tedeschi, in effetti, raggiunsero il proprio obiettivo (poco importa se il palazzo fosse già vuoto).

L’ultima versione smentita da Ronconi, infine, riguarda le perdite del contingente tedesco. Le forze tedesche non erano costituite da 800-900 uomini e le loro perdite non ammontarono a 300-350 morti. Le perdite effettive, come riportato nei bollettini tedeschi, ammontarono invece a 54 morti e 78 feriti, un numero decisamente più esiguo.

Informazioni su Federico Laudizi 7 Articoli
Federico Laudizi è un giovane scrittore e copywriter. Nato a Montepulciano il 3 marzo 2000, è cresciuto a Monterotondo, dove vive dal 2004. Nel 2019 si è diplomato al liceo linguistico Gaio Valerio Catullo e tre anni più tardi, nel 2022, si è laureato in comunicazione, tecnologie e culture digitali presso l'università di Roma La Sapienza. Si dedica con passione alla filosofia, alla letteratura, alla musica, allo sport ma anche alla storia, alla topografia e alla meteorologia. C'è chi da un po' di anni lo chiama "tuttologo", ma lui preferisce definirsi una persona che sa qualcosa di tutto rischiando di non sapere tutto di qualcosa.

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