

Le opere di Letizia Rigucci, esposte presso la chiesa di san Vincenzo a Tivoli, dal 22 settembre all’1 ottobre 2023, con il Patrocinio della Diocesi di Tivoli e Palestrina, nella mostra “Vedere attraverso l’Oltre”, curata criticamente dalla prof.ssa Lucrezia Rubini, si offrono al nostro incontro, in osmosi con il luogo, delineando percorsi epifanici della spiritualità dal passato al presente. I materiali usati sono strumenti d’accesso per mondi immateriali, ovvero costituiscono dei medium, delle mappe speciali, delle porte regali da attraversare. Si tratta di moderne icone, talvolta dittici o installazioni site specific, realizzati con tecniche del tutto originali, sperimentate negli anni dall’artista. Il ciclo di opere qui presentato si caratterizza in modo specifico non soltanto sul piano tecnico e materiale, ma anche sul piano tematico, che tuttavia si pone in continuità con le ricerche precedenti, che facevano appello al tema del femminile.

La forma del cerchio, che costituisce la struttura portante della composizione di tutte le opere in mostra, è l’elemento d’unione e di passaggio dalle ricerche tematiche sul femminile, fin qui condotte dall’artista, e la ricerca per molti aspetti nuova, qui presentata. Il cerchio – poiché si tratta di forme bidimensionali e non sferiche – costituisce un simbolo universale e primordiale, che fa appello al macrocosmo nel microcosmo: dall’embrione nell’utero, dall’umano nell’universo, fino al paradosso dell’immateriale nel materiale. Cerchi concentrici, o sovrapposti, si uniscono o si separano, creano intersezioni, sono agiti da forze energetiche cosmiche, che trascendono la dimensione umana.
Un disco è elemento simbolico ancestrale che faceva riferimento al Sole, adorato sin dai popoli primitivi, ma anche all’ostia consacrata, nella religione cristiana. Questa è il luogo-non luogo, in cui si epifanizza la consustanziazione del corpo di Cristo; si tratta di uno dei più significativi e sfidanti dogmi della religione cristiana, in quanto si chiede di affidarsi, per Fede, al riconoscimento della carne e del sangue di Cristo in quel dischetto di acqua e farina. Il percorso è dal visibile all’invisibile, dal materiale all’immateriale: proprio come avviene nell’opera d’arte e in particolare nelle icone; entrambe, manifestandosi nel visibile, rimandano ad un quid invisibile e indicibile, immateriale e spirituale. Le capsule-reliquie qui sapranno riattivare la storia, i simboli, i significati delle opere di soggetto sacro presenti in chiesa, ma anche il ricordo, la memoria – collettiva e, ancora una volta, primordiale. Il tempo della memoria ferma il tempo misurato e lo blocca in un non-tempo, non misurabile, della sospensione in un presente che si fa non attimo indefinito tra passato e presente, bensì tempo infinito, eterno e, in quanto tale, ultraumano.

Il fondo di resina, sempre presente nelle opere in mostra, è da leggere anche come acqua, in cui quelle tracce di vita sono immerse, mentre dall’acqua, come nel liquido amniotico o come accade per i reperti archeologici immersi nei fondi marini, sono protetti e preservati, ovvero salvati. Questo elemento si ricollega alla storia sacra del luogo, in quanto nei sotterranei della chiesa vi era la presenza di acqua, che permise a santa Sinforosa e i suoi sette figli di rifugiarvisi per alcuni giorni e sottrarsi alle persecuzioni dell’imperatore Adriano. Le opere di Letizia Rigucci, dunque, sono coinvolgenti e sconvolgenti, ci risucchiano in un’energia spirituale ed universale, porte aperte sull’Oltre, per sentire, per riflettere, per sottrarci al mondo temporaneamente, e ritornare ad esso con uno sguardo diverso, epifanico e rivelatore.
Articolo di Lucrezia Rubini
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