
Avete mai pensato che le parole sono un po’ come il cibo? Alcune nutrono, altre fanno male.
Hanno un potere immenso. Possono cambiare un pensiero, ribaltare una giornata, dare coraggio a chi stava per arrendersi.
Sono energia pura: invisibile, ma capace di lasciare un segno profondo.
Il linguaggio è il nostro superpotere. Tutti gli esseri viventi comunicano, ma solo noi diamo voce ai pensieri con le parole.
Qualsiasi idea deve essere raccontata con le parole giuste, altrimenti rischia di non essere valorizzata abbastanza.
Ciò che ha fatto la differenza tra i grandi uomini della storia e le persone comuni non erano soltanto le loro idee, ma soprattutto il modo in cui sapevano comunicarle e trasmettere agli altri. Mentre parlavano delle loro intuizioni e dei loro pensieri, usavano il linguaggio delle emozioni e dei desideri delle persone. Avevano capito che se il loro messaggio non fosse stato compreso e sentito come proprio dalle altre persone, non sarebbe stato mai sostenuto.
Nonostante questa meraviglia che è la parola, sembriamo più portati a lamentarci che a ringraziare.
La scienza ci dà una spiegazione: il nostro cervello è cablato per notare ciò che non va. È il retaggio dei tempi in cui dovevamo preoccuparci più di sopravvivere che dei like. Ci siamo evoluti in condizioni ambientali difficili in cui per restare in vita servivano più emozioni come la paura e la rabbia.
Oggi i leoni non ci inseguono più, molte malattie mortali sono state debellate, ma il linguaggio dell’allerta è rimasto. Nelle lingue occidentali ci sono il doppio delle parole negative rispetto a quelle positive. E così, senza accorgercene, siamo diventati campioni mondiali di “non va”, “che stress!”, “purtroppo”, “ormai”.
Le parole hanno un peso e non sono mai neutrali: possono costruire fiducia, generare conflitti, orientare opinioni pubbliche e influenzare le relazioni sociali ed economiche.
Cambiare si può!
Se impariamo a scegliere parole più luminose, anche la nostra realtà lo diventa un po’ di più. Basta cominciare da piccole cose: dire “ci provo” invece di “non ce la farò”, “è una sfida” invece di “è un problema”.
E allora, prima di parlare o scrivere, facciamo come diceva Socrate, che “sapeva di non sapere”: coltiviamo il dubbio. Pensiamo un po’ di più, parliamo un po’ di meno, scegliamo meglio le parole. E quando non sappiamo… taciamo, che il silenzio, in certi casi, è più elegante di mille discorsi.
Perché le parole, quando sono giuste, non fanno solo rumore: fanno miracoli.


