L’accoglienza nel territorio nel ricordo di don Luigi Di Liegro

Quando cominciai il servizio civile come obiettore di coscienza nel 1989 in Caritas a Roma, non mi sarei mai immaginato quale grande opportunità si stava per realizzare. Ero uno dei pochi non raccomandati da alcun parroco, con una laurea in lingue straniere e una tesi sulla Bass culture alle spalle, pronto a veder crescere il seme della multiculturalità, di cui mi ero già nutrito anche vivendo a Londra per un anno. Ho così aperto il primo centro di accoglienza stranieri, chiamato progetto-guida Torre Maura. Nei successivi 16 anni sono poi seguiti altri 4 centri nel territorio, di cui due per la Virtus Ponte Mammolo in convenzione con il Comune di Roma.

Ho avuto modo così di conoscere e collaborare con quel grande faro di Don Luigi Di Liegro, da cui ogni responsabile dei vari servizi, da lui ideati e realizzati, avrebbe dovuto ricevere e dirigere la sua luce guida verso “il territorio”.

Ogni iniziativa, ogni servizio era inteso da lui come un esempio di promozione ed emancipazione umana, sia per le persone in difficoltà che ricevono aiuto e sia soprattutto un’occasione per un territorio che con le sue forze multidimensionali potesse imitare, sviluppare, promuovere e implementare l’esempio ricevuto. Un territorio, compresa la sua parrocchia, che risponde “…vai alla Caritas…”, la condanna alla triste etichetta di “carrozzone dell’assistenzialismo”.

In particolare, il “territorio” degli immigrati aveva un posto speciale nella sua missione, provenendo anche lui da una famiglia di emigranti nel nuovo mondo e avendo vissuto direttamente le sofferenze e difficoltà di chi per motivi economici, politici, religiosi o altro è costretto ad abbandonare tutto ed entrare nella “clandestinità”.

A 25 anni dalla morte di Don Luigi Di Liegro, altre stragi di esseri umani negli ultimi mesi nel “mare nostrum, mors vostra” si alternano a ondate di sbarchi con il fantomatico spettro dell’invasione.

Orrore e condanna, troppo spesso “telecomandati”, a cui aggiungo personale vergogna e pieno senso di frustrazione da 30 anni: un territorio, Italia e Europa, da cui mi sento sempre più lontano.

Silvio Baratta

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