RICORDI, PROFUMI, SAPORI… DELLA TRADIZIONE MENTANESE

Di Roberto Tomassini

Del ritrovato desiderio di ritorno alla terra condiviso da molti cittadini italiani negli ultimi anni, ormai, è anche superfluo parlarne. Complici i ritmi di vita sempre più frenetici – recentemente decelerati dal lockdown – la vita di campagna oggi rappresenta un sogno nel cassetto per molti. E certo questa tendenza non avrebbe bisogno di ulteriori commenti, se non fosse per il fatto mi sembra opportuno mettere in luce un altro aspetto, secondo me importantissimo, che cioè non si tratta solo di un discorso economico o di attrazione turistica: i prodotti gastronomici sono parte importante della nostra storia, della nostra cultura e del nostro territorio e contribuiscono, insieme alle tante opere d’arte e all’artigianato, artistico o musicale, a rendere il paese un luogo unico da scoprire ed apprezzare. È anche il caso della tradizione gastronomica mentanese che appartiene alla cucina popolare e contadina. In genere, il mangiare contadino seguiva regole severe ed essenziali dettate dalla dura realtà sociale che caratterizzava quel mondo semplice e povero. Uomini e donne si alzavano presto al mattino, poi la loro giornata era quasi interamente dedicata al faticoso lavoro in campagna.

Il pranzo mentanese

Il pranzo, prevalentemente a mezzogiorno, era una minestra fatta in casa, in brodo o asciutta, ben condita che dava energia e che costava poco perché farina e uova erano prodotte dalla casa. Tutti noi abbiamo i ricordi dei piatti della tradizione contadina preparati dalle nonne: personalmente ho un ricordo impresso nella mente, che mi riporta i sapori e gli odori della cucina della mia infanzia. Se chiudo gli occhi ricordo ancora la casa di mia nonna … In cucina bastava alzare lo sguardo al soffitto per capire se c’era del cibo in casa. Qualsiasi genere a seconda del periodo: i salumi messi ad essiccare in una pertica sopra il camino. Lunghe fila di salsicce, prosciutti, pezzi di guanciale che si consumavano a mano a mano per cucinare e tutto ciò che ricavavamo da uno o due maiali ammazzati nel mese di dicembre.

La cucina era senza dubbio il locale dove si svolgeva la maggior parte della vita domestica: oltre ad essere l’ambito privilegiato dell’azione della donna che stava in casa a far da mangiare, era infatti anche il luogo in cui la famiglia si riuniva al momento del pranzo e della cena, e dove tutti sostavano, specialmente durante l’inverno, per riscaldarsi.

L‘arredo, molto spoglio ed essenziale, era costituito da una madia (la martora) dove riporre pane fatto in casa. In un angolo c’era la credenza dove si riponevano i condimenti di più largo uso un tempo erano soprattutto lo strutto, il guanciale, il lardo e l’olio extra vergine d’oliva, mentre tra le spezie trovavano e trovano ancora ampio spazio, aglio, cipolla, basilico, rosmarino, prezzemolo, pepe, alloro, sedano, salvia e menta romana.

Completava il sobrio arredamento il tavolo da cucina con ripiano in marmo, cassetto, tagliere (battilonta), guida per la spianatoia (la spinatora) e, su un lato più corto, un foro per riporre il mattarello (lu stennerellu). Tutto ciò è quello che mi resta, con un po’ di nostalgia, del ricordo della casa dei miei nonni. Inizio con il raccontarvi la ricetta di mia nonna: li frascarelli. Non era un piatto della domenica, ma era un piatto che a noi nipoti piaceva molto; nascevano nella cultura popolare come un piatto povero della tradizione contadina.

Mia nonna cospargeva la “spianatora” con la farina e quindi ci spruzzava sopra acqua bollente in modo che la farina si rapprendesse in piccoli grumi.

E poi con la mano, girandola sulla pasta, formava piccole palline per poi passare il tutto al setaccio per cui, una volta eliminata la farina non amalgamata con l’acqua, rimanevano queste palline di pasta. Intanto in un tegame preparava un soffritto aggiungendo all’olio di oliva un battuto con pancetta, aglio, cipolla, sedano e altri odori. Quando era rosolato aggiungeva qualche cucchiaio di salsa di pomodoro, sale e pepe e lasciava insaporire a fuoco lento per alcuni minuti, quindi metteva a cuocere i “frascarelli”. Di solito si servivano nel piatto, ma molto più spesso si allargavano sulla “spianatora” e si condisce a piacere, proprio come si fa con la polenta.

I giorni di Festa a Mentana

In particolare ricordo i giorni di festa. Avevano un grande valore, per questo l’intera famiglia si riuniva attorno alla tavola per mangiare e festeggiare insieme. In tali occasioni, andavamo spesso a pranzo da mia nonna. Come aprivamo la porta venivamo investiti letteralmente dal profumo del suo fantastico sugo. Capitava spesso che si alzasse molto presto per prepararlo … Che ricordi… che profumi e che sapori…

Fettuccine fatte in casa col ragù: in estate si usavano i pomodori freschi, in inverno si usavano le squisite conserve preparate durante la stagione calda utilizzando pomodori scelti e ben maturi. Il rituale prevedeva la sfoglia stesa al mattino: con un movimento rapido la faceva “schioccare” sulla spinatora. E così via, fino a ridurre la sfoglia sottilissima e rotonda. Quindi la lasciava asciugare e di nuovo la ripiegava facendola combaciare verso il centro, perché tagliandola ne venivano delle “matasse”.

Era pronta così per essere gettata nella pentola, più spesso dentro “lu callaru”, nel momento preciso in cui l’acqua bolliva per evitare che messa la pasta dentro non si “affaldellasse. Arrivando presto, si aveva la possibilità di assistere a una meravigliosa lezione di sfoglia, il matterello e l’affascinante pulizia finale della spinatora.

Con le fettuccine al sugo di carne, bando alle ciance! Carne di vitello, salsicce e costato di maiale a fare glu glu nella passata casalinga per almeno 4 ore. Poi tutti a tavola, iniziava il pranzo.

Si cominciava immancabilmente dall’ antipasto (salumi, formaggi freschi, sottaceti …); a tanta abbondanza seguiva la stracciatella e ovviamente il lesso di gallina molto spesso accompagnato dai carciofi alla giudìa. Seguivano i primi piatti e le fettuccine con le “rigaglie” di pollo; poi arrivava i secondi piatti: coniglio alla cacciatora, abbacchio con patate al forno e arrosti vari. Si finiva con la cesta della frutta della nostra campagna, le torte fatte in casa. In tutto questo tempo i bottiglioni del vino della cantina continuavano a filar via. La cucina dovrebbe tornare ad essere quella di un tempo, il centro della famiglia, il centro della convivialità intesa come voglia di stare insieme, di parlare …

La commensalità o rito del mangiare e di bere insieme è chiaramente un rito di aggregazione, di unione propriamente materiale che si è denominato come un sacramento di comunione Il mio interesse per la cucina e la convivialità, che deriva dal condividere un buon pasto, è stato nel tempo incentivato dagli apprezzamenti degli amici, in queste occasioni non dico che buono, ma dico … che bello!

Roberto Tomassini
Roberto Tomassini

Roberto Tomassini è un grande appassionato di storia e autore di libri sulla città di Mentana

Vuoi conoscere un altro piatto tipico di Mentana? Si chiamano “Li Maccaruni a centonara” . Leggi qui per scoprire la ricetta.

IlTerritorio.net

GUIDONIA – Ruba in casa di un pensionato in vacanza: arrestato dai Carabinieri

Si comunica, nel rispetto dei diritti degli indagati (da ritenersi presunti innocenti in considerazione dell’attuale fase del procedimento – indagini preliminari – fino a un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile) ed al fine di garantire il diritto di cronaca costituzionalmente garantito che i Carabinieri della Stazione di Tivoli Terme hanno arrestato in flagranza…

mentanese mentanese, mentanese mentanese, mentanese, mentanese

il discobolo centro benessere fonte nuova Roma via Palombarese 690

Commenta per primo

Rispondi